Metronomo non per caso. Il soprannome di quando giocava ma anche la giusta definizione delle parole che Demetrio Albertini, oggi, ha rilasciato a Tuttosport. L’ex grande centrocampista del Milan è intervenuto sull’ennesimo dilemma presidente-allenatore in casa rossonera.
Bilancio rossonero: “Questo è il Milan: quando si arriva a metà marzo in classifica hai quello che ti sei meritato. Potenzialmente questa squadra secondo me poteva fare qualcosa in più, essere più vicina alle prime, però le cinque davanti hanno giocato meglio o hanno ottimizzato i momenti positivi del loro campionato. Il Milan ha gettato punti al vento, ma dalla Juventus all’Inter, passando per Napoli, Roma e Fiorentina, tutte hanno avuto delle flessioni“.
Sul rapporto Mihajlovic-Berlusconi: “Partiamo dal presupposto che Berlusconi è il proprietario e deciderà lui: nessuno di noi sa cosa c’è nella sua testa. A volte ha spronato Mihajlovic, a volte no. Lo ha confermato o messo in bilico. La stagione di Sinisa, che reputo un ottimo allenatore, è stato un sali e scendi continuo. Ha imposto con coraggio giovani come Donnarumma e Romagnoli, ma è anche vero che mi aspettavo qualcosa in più sotto il profilo del gioco, una squadra più propositiva, ed è indubbio che il Milan abbia sbagliato delle partite che non doveva sbagliare. Detto questo, non posso giudicare da esterno cosa passi per la testa del presidente e della società. Dal mio punto di vista, però, quando scegli qualcuno e inizi un progetto, bisogna crederci e lavorarci insistentemente“.
L’allenatore non è il problema: “Secondo me qua non bisogna parlare di Mihajlovic sì o no, chi o meno al suo posto. Il discorsa va oltre all’allenatore, il discorso è: qual è il progetto? Non ci sono certezze né in campo, nè fuori. Bisogna ragionare bene, capire che il mercato non è l’unico mezzo per costruire una squadra, ma una componente per arrivare all’obiettivo. Neanche il Real vince solo con i grandi acquisti“.
Decadenza: “In questo momento storico del Milan tutto è contagioso, la confusione genere confusione. Il presidente Berlusconi quando è entrato nel calcio aveva portato una filosofia nuova, energie e chiarezza su cosa doveva essere il Milan, ovvero diventare la squadra più importante del mondo. Oggi questa chiarezza non c’è. A inizio stagione vedevo il Milan come un cantiere aperto che stava gettando le basi per il futuro, mi piaceva la programmazione che si era intravista con gli investimenti estivi dopo anni un po’ così. Secondo me, arrivati a marzo, dovrebbero essere più certezze, più punti fermi da cui proseguire nella progettazione della prossima stagione. Valutazioni da fare con equilibrio per costruire il futuro. Un tempo Berlusconi voleva vincere, ma non solo la partita della domenica successiva. Si poteva perdere, ma il piano era diventare i più grandi al mondo nel tempo. Oggi non deve esserci forse quell’obiettivo, ma neanche esaltarsi dopo due vittorie o buttare tutto all’aria dopo due sconfitte“.
Lo sfogo di Abate e Abbiati: “Personalmente mi è piaciuto, ho visto qualcosa del vecchio Milan. una volta chi gestiva lo spogliatoio aveva un senso di appartenenza unico e chi c’era trasferiva i valori rossoneri ai nuovi arrivati. Il Milan per chi c’era o per chi arriva non era un punto di arrivo ma di partenza. Avevamo l’ambizione che non significava solo vincere lo scudetto, perché quello lo può raggiungere solo la squadra”.
This post was last modified on 17 Marzo 2016 - 13:56