Kevin-Prince Boateng è stato intervistato dal mensile ufficiale Forza Milan!, spendendo numerosissime parole sulla sua carriera e ovviamente sul ritorno in rossonero.
Famiglia Milan: “La mia prima casa è a Berlino, dove sono nato, ma subito dopo viene Milano. Qui ho vissuto 3 anni incredibili, mi sono fatto tanti amici e ho trovato l’amore. Sto bene: mi sento “caldo” come si dice in Germania”.
Un uomo diverso: “Il Boateng di oggi non è certo quello del primo anno rossonero: con il tempo si crescere e si impara a non ripetere certi errori. In questi anni ho lasciato indietro molte cose negative, cercando di salvaguardare quelle positive. Nessuno mi può cambiare il carattere e nemmeno io voglio farlo, però adesso sono padre di due figli e le responsabilità aumentano: sono più riflessivo”.
Sull’esperienza allo Schalke 04: “La prima stagione è andata bene, nella seconda invece sono iniziati i problemi ma non da parte mia: è la società che ha cambiato atteggiamento. Salvo il fatto di aver giocato in un club importante della Bundesliga, per tifosi che sono famosi per il loro attaccamento alla squadra; senza dimenticare l’esperienza in Champions. Certo, non è stato un periodo perfetto ma me lo sono lasciato alle spalle, anche se mi ha colpito come da un giorno all’altro mi abbiano messo fuori rosa dopo aver detto che ero il calciatore più importante della rosa. Sensazione stranissima, ma esperienza che mi ha aiutato a crescere perché ho imparato tanto”.
Senza squadra: “Sapevo a cosa andavo incontro e ho cercato di fare del mio meglio. Nei mesi scorsi ho pensato solo ad allenarmi, dando il massimo in ogni occasione e provando a rendermi utile alla squadra. Dopo lo Schalke, tornare a Milanello anche solo per rivivere la vita dello spogliatoio è stato comunque un grande passo avanti”.
Sogni avverati? “Quello di essere diventato un calciatore professionista. A quasi 29 anni sono una persona felice, perché ho ritrovato il Milan e sento l’amore della gente. Sono al top e ho ancora tanto da dare a questo sport”.
Sul primo gol (con la Fiorentina) ad inizio 2016: “Un misto di gioia ed emozione: alla fine della gara, rientrando negli spogliatoi, ho pianto nel tunnel per la sofferenza accumulata nell’ultimo periodo. Un pianto liberatorio sia per me che per la mia famiglia che ha sofferto come il sottoscritto l’ostracismo dello Schalke e anche i dubbi di molti sul mio ritorno in rossonero. Uno cerca di non farci caso, ma le voci ti arrivano…”.
Rischio ritiro: “La scorsa estate ero veramente giù, per una settimana ho pensato di smettere ma grazie alla mia fidanzata (Melissa Satta) ho cambiato idea. Aveva ragione lei. Devo parecchio anche al mio procuratore, con il quale sono diventato amico”.
Sui ragazzi di oggi: “Mi sembra tutto diverso rispetto a quando ho cominciato, girano molti più soldi rispetto a 10-12 anni fa e questo i ragazzi lo sanno. Mi sembra che manchi la voglia di sacrificarsi in allenamento, la passione non è la stessa: forse è rimasta in quei paesi dove il calcio è ancora uno sport e non un business…”.
Si gioca troppo? “La questione è legata al calendario, sempre fitto di impegni. Con l’esperienza sai quando sei in condizione di scendere in campo oppure rinunciare. A questi ritmi giocare ogni 3 giorni non è facile”.
Schiaffino ha detto una frase passata alla storia: “Rossonero una volta, rossonero per sempre”. Sei d’accordo? “Assolutamente sì!”.
Perché il Milan è speciale? “Quando sono andato via, il Milan mi mancava, non tanto perché avessi vinto lo scudetto o perché avessi avuto dei grandi compagni di squadra quanto perché qui c’è un clima diverso rispetto agli altri posti. La pensa così anche Ibra, che ha sempre giocato in grandi squadre ma ha detto di non aver mai trovato un posto più bello di Milanello”.
Pogba: “Scommetterei su di lui un domani, perché può diventare un fenomeno. Se riesce ad avere la stessa continuità di campioni come Cristiano Ronaldo, Messi o Ibra, si candiderà per vincere il Pallone d’oro.
Sul futuro: “L’unica certezza è che voglio rimanere in questo mondo, perché il pallone è tutto per me. Spero di giocare a buoni livelli ancora per 4-5 anni, poi si vedrà. Di sicuro non farò l’allenatore perché non ho sufficiente pazienza. Di solito nella vita non mi arrabbio ma devo avere subito il risultato. Per questo non sono tagliato per la panchina: chi allena lavora per costruire, io invece guardo all’immediato”.