Caporetto Milan. Il 2016 rossonero inizia nel peggiore dei modi, con l’ennesimo ko di questo disastroso triennio iniziato con l’insperato piazzamento Champions della primavera 2013. La fiducia e la crescita palesate prima della sosta non aiutano ad avere ragione del Bologna di Donadoni, vittorioso a San Siro per 1-0: gran parte del merito va al tecnico felsineo e ai suoi ragazzi, protagonisti di una prestazione tanto buona quanto coraggiosa, ma le responsabilità (pesanti) sono soprattutto dei berlusconiani. Passano i mesi e gli anni, cambiano gli allenatori, ma il Diavolo continua a non trovare il bandolo della matassa e a rimediare fragorosi flop su flop. Quella di ieri è la 6^ sconfitta in questa Serie A, ma soprattutto è la deprimente chiusura di un ciclo di partite potenzialmente alla portata che, nei fatti, non ha portato i frutti sperati: tra Carpi e Frosinone in trasferta e Verona e Bologna in casa, il Milan ha racimolato appena cinque punti. Troppo poco per chi coltiva ambizioni di coppa, anche quelle meno nobili dell’Europa League.
Non c’è che dire: la ripresa di campionato comincia sotto i peggiori auspici possibili. Evidenziando, ancora una volta, tutti i limiti della squadra. Manca il carattere necessario per vincere una gara fondamentale per l’intera stagione, o perlomeno per tentare di recuperarla dopo il vantaggio ospite, manca la personalità di coloro che dovrebbero essere i leader del gruppo, manca anche la famigerata “fame” di cui Mihajlovic ha sempre fatto una bandiera, da calciatore e da tecnico. Ma soprattutto, mancano i gol che permettono, con un po’ di sofferenza, di portare a casa partite come Milan-Bologna: i vari Bacca, Niang e Cerci sono stati nuovamente troppo imprecisi sotto porta. E vale la pena spendere una menzione particolare per l’ex Torino: entrato nella ripresa per convincere società e mister a puntare su di lui, a un anno di distanza dalla sua prima presenza rossonera ha dimostrato di non avere la personalità e la “testa” per vestire questa maglia. In breve: Cerci ha certificato, una volta di più, di non essere da Milan.
Tante colpe ai giocatori, dunque: alcuni hanno reso (e stanno rendendo) al di sotto del loro potenziale, la maggior parte non ha il physique du role per giocare in una big del blasone e della storia del Milan. Ma nel calcio, da che mondo e mondo, la colpa non può che essere anche (o tutta, a seconda dei casi) dell’allenatore. Sinisa Mihajlovic non ha commesso errori specifici o mortali per il certificato disastro rossonero, ma come ogni tecnico è il primo responsabile di ogni risultato. Le considerazioni di base sono due: la squadra, nonostante sei mesi di lavoro, non ha ancora un gioco e un’identità precisa e, al netto di quasi 80 milioni spesi sul mercato, non ha segnato miglioramenti credibili rispetto a dodici mesi fa. A parziale discapito c’è da dire che la rosa (seppur di discreta qualità) è costruita male, con evidenti lacune strutturali nella zona mediana del campo, e soprattutto che il serbo sta impiegando al meglio il materiale che ha: il 4-4-2, per gli uomini a disposizione e per le loro caratteristiche, è lo schieramento probabilmente più logico e sensato possibile. Ma ciò non toglie che il Milan debba necessariamente fare di più, considerando i parecchi problemi avuti contro squadre decisamente meno attrezzate e meno costose.
E ora viene il brutto. Il Milan e Mihajlovic si giocano tutto nell’arco di sei giorni: Roma in trasferta e Carpi a San Siro (per i quarti di finale di Coppa Italia, ndr) sono le due partite decisive per salvare panchina e stagione. Un passo falso all’Olimpico potrebbe costare caro all’ex Samp, la cui posizione è sotto la stretta osservazione della dirigenza e della proprietà rossonera, mentre l’eventuale sconfitta in coppa segnerebbe l’inesorabile fallimento della stagione 2015/2016. L’analisi di Milan-Bologna potrebbe essere troppo severa nei confronti del mister, “tradito” dalla leggerezza nei 16 metri dei suoi attaccanti e dalla debolezza mentale della squadra, ma potrebbe rappresentare la “goccia” che porterebbe al quarto esonero degli ultimi due anni. Fuori Mihajlovic, dentro un altro nuovo tecnico, pronto a ereditare una situazione societaria e di campo da mission impossible: le responsabilità del fallimento, in questo modo, cadrebbero per l’ennesima volta sulle spalle di chi siede in panchina. E, salvo clamorosi exploit del traghettatore di turno, il ciclo è pronto a ricominciare già la prossima estate, quando il Diavolo ripartirà da zero con un nuovo progetto e con un nuovo mister. Quello precedente continuerà a ricevere lo stipendio per ricoprire un ruolo utile e strategico: l’allenatore-parafulmine chiamato a prendersi tutte le colpe della sciagura milanista.