Nel tennis si chiama braccino. È quello stato di tensione, di timore e disagio che colpisce il giocatore nel momento cruciale della partita, nel momento in cui deve chiudere l’incontro a proprio favore. Tornando al calcio, chiamiamola gambina, chiamiamola come vogliamo, ma è evidente che il Milan sia afflitto proprio da questo disturbo. Vinte le gare interne e semplici contro Sassuolo e Chievo, vinto il big-match contro la Lazio, i rossoneri avevano il compito di fare tre punti in casa contro l’Atalanta per convincere e convincersi di essere finalmente tornati una squadra di vertice, che può e deve lottare per le prime posizioni. O quantomeno dimostrare di avere trovato solidità ed equilibro, ma soprattutto un’identità tattica e qualche idea di gioco. E invece no, ancora una prova disastrosa, al di là del risultato.
E diciamo “ancora” perché appunto il Milan è la seconda volta che crolla sul più bello, quando deve confermarsi e comprovare che i successi e le buone prestazioni non sono solo puramente casuali, che non sono frutto della buona sorte: insomma, è la seconda volta che gli viene il braccino. È capitato infatti anche in occasione della sesta giornata di campionato, nella dolorosa trasferta di Genova: contro i rossoblù di Giampiero Gasperini, quest’anno non proprio irresistibili, i rossoneri hanno messo fine ad un’incoraggiante striscia positiva, iniziata nonostante la sconfitta con la buonissima prova del derby e proseguita poi nelle gare contro Palermo e Udinese. Proprio in quel momento in cui i ragazzi di Sinisa Mihajlovic avrebbero dovuto dare lo strappo al campionato invece sono crollati, perdendo sì, ma soprattutto mettendo in evidenza gravi lacune tattiche e mostrando una preoccupante confusione offensiva, cancellando tutto ciò che di buono erano riusciti a costruire nelle tre partite precedenti. E così anche lo scorso sabato contro i bergamaschi.
Cosa succede? Il tecnico rossonero, per discolparsi, ha giustificato l’anonima prestazione dei suoi giocatori con l’assenza di alcuni uomini, effettivamente determinanti, come Alex, Bertolacci e Bonaventura, ma queste scuse non possono bastare. I rossoneri infatti nel secondo tempo hanno subito almeno quattro occasioni nitide dei nerazzurri, sventate paradossalmente dal sedicenne e meno esperto Donnarumma, senza riuscire di fatto a reagire. Al di là della qualità in mezzo al campo che manca da tempo, il problema di fondo va necessariamente cercato nella testa di questi ragazzi, i quali al contrario di Mihajlovic, peccano di grinta e determinazione, non riuscendo come si suol dire a buttare il cuore oltre l’ostacolo quando le partite non si mettono per il verso giusto. A questo punto la palla a va passata all’allenatore: non è proprio questa la missione che era stata affidata all’ex Samp?