Non è passato nemmeno un anno, nella data c’è indicato 2015, eppure c’è questo Lazio-Milan che non solo per freschezza di memoria è quello che salta immediatamente alle celluline apposite. Sono passati nove mesi e una settimana da quello sconfortante 3-1, segmento di tempo perfetto per capire, in occasione del nuovo giro di valzer dell’Olimpico, cosa ha partorito quel Diavolo brutto, esangue, a tratti irritante di quella sera. Ricordate? Pochi minuti e via, assolo del solito Jeremy Menez, gol, la situazione perfetta per stare allineati, coperti e colpire, andarsi a prendere un successo che avrebbe garantito il riavvicinamento alle posizioni nobili della classifica. E invece – come a Torino coi granata, come in tante altre partite che sarebbero seguite – il blackout totale, l’inno alla mollezza, alla rinuncia.
Per chi oggi dubita delle qualità di Diego Lopez, andasse a vedersi il primo tempo di quel match, chiuso ancora sullo 0-1 grazie a due o tre miracoli del portierone: ma nemmeno una serata di grazia può essere più forte di un’impotenza totale, irreversibile, che prende le mosse dalla panchina dove gravita uno smarrito Superpippo. La ripresa un disastro ferroviario: Parolo pareggia subito, al 6’ Montolivo pensa bene di servire un assist, ma a Klose, ed è subito 2-1, la reazione è lettera morta, nel finale ancora Parolo – uno che ha sempre affermato la sua fede rossonera senza mai venire filato di pezza dal club – firma la fine delle ostilità. Anche se le vere ostilità, considerando l’atteggiamento del Milan, cominciano dopo il triplice fischio: Mexes e la sua oscena esibizione di arti marziali, la cravatta a Mauri, ciliegine perfette da mettere su una torta di guano.
In tv, inquadravano l’Adriano Galliani in versione invernale: congelato fuori, nonostante la boriola rossonera, congelato dentro, congelato lo sguardo. A fianco, Gigi Marzullo, oltre al danno anche la beffa. “Mexes fuori rosa, basta con queste isterie, a fine anno addio”: in dieci giorni, con squalifica ancora in corso, il perdono di dell’amministratore delegato. E dopo un’estate di tira e molla, di cessioni chiuse e poi ritirate, l’ottimo Philippe è ancora qui, sebbene in panchina, sebbene con la valigia rimasta sigillata e appoggiata vicino alla soglia di Milanello.
Anche se era solo la prima giornata di ritorno, quel Lazio-Milan ha rappresentato alla perfezione l’abdicazione di qualsiasi speranza seria, la consapevolezza poi cresciuta di weekend in weekend che anche quella nave rossonera sarebbe andata a infrangersi contro gli scogli della realtà del campo. Rileggendo la formazione, molto è cambiato: di quel disgraziato undici, solo tre dovrebbero rimettere piede sul terreno verde, vale a dire Alex, Montolivo – quella sera meritevole di 4 in pagella – e Bonaventura.
E’ cambiato soprattutto il tecnico: di questi primi giri di Mihajlovic tutto si può dire, si sono visti Milan brutti, ma non smidollati, assenti, pronti a consegnarsi mani e piedi all’avversario come in data 24 gennaio 2015. Certo, oltre a cancellare con lo spirito quella esibizione, sarebbe anche il caso di portare a casa un risultato positivo: Tuttosport ha pubblicato l’impietosa statistica secondo la quale negli ultimi 5 anni – dallo scudetto 2011 in poi – i rossoneri hanno incontrato per 51 volte in campionato le loro avversarie più tradizionali, Inter, Juve, romane, Napoli, Fiorentina. Di partite se ne sono vinte 8, oltre la metà – 28 – sono state perse. Forse nemmeno una provinciale, in un bilancio generale contro una big, ha uno score del genere.
La cosa divertente, è che di queste otto miserelle vittorie ben tre le portò a casa proprio Pippo Inzaghi, l’uomo solo al comando del nulla di quella sera all’Olimpico. Nove mesi dopo, l’auspicio è allora di vedere nascere – anzi – rinascere qualcosa di importante in rossonero: per la classifica attuale, per quella statistica da cancellare insieme a questa nube piazzata da inizio anno sulla casella corrispondente a “Lazio-Milan”. Ce ne sono tanti belli, o fondamentali da riportare alla mente: quel 3 a nulla proprio non serve, così come non servono bis. Me racumandi, Milan.