E’ ancora in corso la partita tra Milan e Napoli, esattamente ottantesimo minuto, e come mai mi era capitato prima, eccomi abbandonare virtualmente lo stadio prima del fischio finale. Siamo solamente al 5 ottobre e per l’ennesima volta noi tifosi milanisti possiamo già riporre le nostre sciarpe e le nostre bandiere in quel cassetto in fondo all’armadio, quello che a volte di dimentichi di avere. “Ci siamo rotti il c….”, ha sentenziato la curva e io non posso far altro che sottoscriverlo a caratteri cubitali.
La speranza che il sergente di ferro Sinisa potesse dare verve alla squadra anonima delle ultime due stagioni, è stata una convinzione che ho utilizzato fortemente per ritrovare la voglia di calcio persa dopo le innumerevoli delusioni. Ma evidentemente pretendere che il serbo si trasformasse in Re Mida, è stato un desiderio figlia della mia passione per questi colori, più che della logica. Se poi invece che il metallo, si parte dalla materia prima di sterco fatta natura, l’impresa appare davvero ardua. E così è stato. Eppure la partita era iniziata con un il giusto approccio, salvo poi cadere nel solito errore di voler costruire l’azione partendo dalla difesa. Quando la tua difesa schiera in ordine il sosia di Nicolas Cage e quello di Eddy Murphy, non si puo’ avere la presunzione di Beckenbauer e Sandro Nesta.
Ad inizio Ottobre e l’entusiasmo si è già trasformato in contestazione, dicevamo. Sono cambiati diversi allenatori e, come dicevo nell’ultimo mio pezzo, tutti diversi l’uno dall’altro. Sostenuti, derisi, attaccati o semplicemente non lasciati lavorare a sufficienza come con Clarence Seedorf, hanno tutti pagato pegno con l’esonero. Eppure nulla è cambiato.
Abbiamo costruito un palazzo fatto tutto di vetro, con tanto di museo e di ristorante di lusso. Cosi’ per dare vita finalmente ad un nuovo corso; Abbiamo sentenziato che alcuni dirigenti fossero oramai passati e così abbiamo ne abbiamo spedito uno a Barcellona; Abbiamo cambiato i colori della maglia e giocato con una versione pigiama per tutta la scorsa stagione, tanto perché gli sponsor sono più importanti delle tradizioni; Abbiamo quindi speso 80 milioni sul mercato come non accadeva da oramai troppo tempo, senza che i risultati in campo cambiassero minimamente; Abbiamo pure ipotizzato di cambiare stadio lasciando la Scala del calcio a chi da sempre è stato ospite di uno degli stadi più belli del mondo. Insomma è cambiato quasi tutto meno una variabile sola, l’amministratore delegato Adriano Galliani.
Ostaggio del suo modus operandi e dei suoi amici di cortile tra i quali mi meraviglio non appaiano i Casamonica, questo Milan continua a vivere un incubo nel quale trascina purtroppo tutti i suoi tifosi, nessuno escluso. Dalla crisi economica mondiale, alla fiscalità spagnola che dopava il mercato per le italiane, gli alibi dell’AD della vergogna tecnica si sono sgretolati come pavesini in una tazza di latte caldo.
Se i suoi avvocati da talk show potevano in passato appellarsi alle scarse risorse economiche messe a disposizione dalla società, quest’anno non possono più farlo e l’imbarazzo che traspare nei loro sguardi è evidente. Ma questa non deve essere la guerra dell’ “avevo ragione io”, bensì un tavolo di discussione affinchè le cose siano prese ed analizzate per quello che sono. Senza pregiudizi o interessi di varia natura, se non quelli dello stesso Milan.
La convinzione che nulla mai davvero cambierà fino al giorno in cui suddetta persona verrà cacciata via, è sempre più radicata nel sottoscritto e nei tanti tifosi stanchi di vedere un Milan così ridotto. Nell’attesa che anche Berlusconi si convinca della necessità di privarsi del suo fedele compagno di ventura, non ci resta che confidare nell’intelligenza manageriale di chi, seppur in arrivo da lontano, potrebbe trovare irritabili certi affari dai torbidi contorni.
Le accuse ad Adriano Galliani non devono però essere trasformate in alibi dietro il quale i giocatori possano celarsi. La resa del secondo tempo è di quelle che feriscono chi da sempre fa sacrifici per seguire la propria passione, il Milan. E quindi lasciatemi concludere con un appello ali amici della Curva Sud che ha lanciato il famoso coro di protesta “Andate a lavorare”. Il lavoro è una cosa seria e al giorno d’oggi una benedizione per chi ce l’ha ed un sogno per chi lo cerca da innumerevoli mesi. Cosa troppo importante per augurarla ad un gruppo di viziati senza spina dorsale.
Vi aspetto su Twitter (@nonevoluto) e su Facebook alla pagina “Milanisti Non Evoluti 2.0″,
Alessandro Jacobone