Dopo sei mesi di trattative, l’intervento in prima persona di Silvio Berlusconi per sbaragliare la concorrenza, l’aggiudicazione delle aree messe a bando, l’attesa per la firma del contratto e 400 pagine approvate una ad una da una decina di legali, il clamoroso dietrofront del Milan sul nuovo stadio al Portello.
Arrivato ieri per mail alle 17 come una doccia fredda sula testa del presidente di Fondazione Fiera, Benito Benedini, che nelle battute finali della gara aveva condotto con abilità magistrale l’asta al rialzo fra i rossoneri e Vitali portando entrambi i candidati ad offrire come canone 4 milioni (da 2.5). Erano giorni che Fondazione aspettava di ricevere controfirmata la lettera dove aveva riasunto tutti gli impegni presi dal Milan, l’ora “x” doveva essere il 27 luglio ma poi il CdA fissato ad hoc dalla società milanista era stato posticipato di una settimana. Forse per lasciare ampie manovre all’affare con Bee Taechaubol. Due pagine fitte, siglate da Barbara Berlusconi, dove paiono disattesi molti degli impegni scritti “già assunti per vincere il bando”. Il Milan, messo alle strette verso il gong, aveva garantito la manleva totale. Ora fa marcia indietro: “Gli esperti hanno valutato una spesa onerosa oltre le attese. Dobbiamo limitare il costo a nostro carico“.
Operazione tardiva sul prezzo o modo per sfilarsi misurata l’opposizione di Fininvest e la freddezza di Mr. Bee (nel soggiorno milanese non ha mai visto la figlia del presidente)? Questa la domanda del Corriere della Sera, dopo lo scoop di stamane. Tra le alternative al Portello c’è per esempio l’ex area Falcka Sesto: un milioni di metri quadrati che fanno capo ad un imprenditore privato rendendo di conseguenza più veloci i tempi per eventuali negoziati.
In caso di colpo di scena per il Diavolo ovviamente è prevista una penale, da via Aldo Rossi arrivano parole neutre o persino rassicuranti: “Il consiglio di amministrazione ha deliberato all’unanimità la valenza stretaegica del nuovo stadio“. Non si esplicita dove: al Portello? Forse no.