“Voglio far tornare il Milan dove merita. Voglio dare un gioco alla squadra, voglio riunire ambiente e tifosi. Voglio, anche, un mercato all’altezza. Voglio partire col piede giusto in campionato e voglio soprattutto sfatare il tabù delle palle inattive. Voglio allenamenti tosti per farli correre ogni giorno e voglio perdere solo se gli avversari correranno più di noi. Voglio Menez. Voglio poter scegliere la formazione e voglio poter sbagliare con la mia testa. Voglio che i tifosi si fidino di me e voglio tornare ad alzare trofei. Voglio vincere”.
Eppure le premesse erano buone. Un po’ presuntuose, è vero, ma comunque all’altezza di un nuovo allenatore del Milan. Giovane, spavaldo, con la schiena dritta. E soprattutto milanista. Eppure gli elementi per una grande stagione c’era tutti, o quasi. Un nuovo modulo, il falso nueve, il numeroso staff tecnico, una partenza col botto: tre gol alla Lazio e San Siro di nuovo felice, in festa per aver finalmente espulso tutte le tossine di due stagioni snervanti. Eppure qualcosa nell’aria sembrava essere cambiato, si respirava un ossigeno diverso. C’era finalmente unione di intenti in ogni angolo di via Aldo Rossi, c’era finalmente la compattezza societaria che è alla base di ogni successo sportivo. Eppure era tutto troppo bello, fino alla settima giornata: 14 punti, due a partite, una marcia scudetto, una squadra in forma, un nuovo Milan. Poi ci siamo svegliati.
La verità è che “l’erba voglio non cresce neanche nel giardino del re di Coppe”. Lo dice un detto milanese, lo insegna il calcio. Ma il rispetto e la riconoscenza verso un campione che ha battezzato la propria spalla in quella memorabile notte di Atene non si può barattare per una disastrosa stagione da allenatore, neanche nel giorno del suo compleanno. Tanti auguri, Re di Coppe!
This post was last modified on 10 Agosto 2015 - 18:41