Quando c’è di mezzo Filippo Inzaghi non può mai essere un addio. Come dopo i suoi numerosi infortuni quando vestiva ancora la maglia rossonera, come dopo un’annata disastrosa come quella appena conclusa. Perché il Milan e Filippo Inzaghi sono nati per stare vicini, un po’ come il sugo sulla pasta: da solo non è male, ma insieme sono una libidine. E l’avventura dell’oramai ex allenatore rossonero, seppur conclusa, non sarà mai cancellata.
Filippo Inzaghi ha saputo vivere il Milan a 360°. Tre anni da allenatore, dagli Allievi Nazionali fino alla prima squadra, coronati con una vittoria del torneo di Viareggio e due piazzamenti alle Final Eight con le squadre giovanili, mentre con i più grandi le soddisfazioni probabilmente non bastano neanche per riempire le dita di una mano. Ma Inzaghi in questa tortuosa stagione è cresciuto, ha sofferto, imparato, mangiato amaro, scherzato, lavorato, gioito, si è arrabbiato. Ma ha vissuto. E solo attraverso l’esperienza un allenatore, se veramente vuole intraprendere questa strada, può migliorare e migliorarsi. Perché puoi anche avere tutti i patentini di questo mondo, ma senza il campo non vai da nessuna parte. Lo sa bene Pippo, lo sapeva bene. Ma la sfida di accettare comunque la panchina del Milan dopo due anni di gavetta nelle categorie inferiori era difficile, ostica, complicata, quasi un rebus irrisolvibile che alla fine, a conti fatti, ha risucchiato anche un re di coppe come l’ex numero 9 rossonero.
Eppure qualche soddisfazione Inzaghi se la porterà come medaglia di questa stagione. Una su tutti Menez, trasformato da anarchico svogliato ad un anarchico bomber capace di segnare 16 gol. E scusate se è poco. Arrivederci, Pippo: non sarà certo una panchina a dividere il nostro affetto nei tuoi confronti.
This post was last modified on 5 Giugno 2015 - 11:45