Su Inzaghi ci siamo sbagliati tutti. Il peccato originale è stato quello di pensare che Pippo allenatore potesse essere all’altezza dell’Inzaghi calciatore, quello delle notti di Champions per intenderci. Lo dicemmo in tempi non sospetti: l’entusiasmo di Pippo sarà fondamentale, ma non sufficiente. Fare l’allenatore è un altro mestiere, la storia insegna. Esemplificativo il caso Van Basten. Diametralmente opposta, ma altrettanto significativa l’eccezione Arrigo Sacchi.
È doveroso precisare: ad Inzaghi non verrà mai rimproverato lo scarso impegno suo o della squadra, quanto la mancanza totale di un’idea di gioco e la mancanza di personalità della squadra.
Sia chiaro, però: la rosa di questa stagione era qualitativamente all’altezza, decisamente superiore rispetto a quella della passata stagione, di certo non inferiore a quella di una Lazio attualmente seconda in classifica. La differenza è una e una soltanto: la Lazio di Pioli è una squadra tatticamente ben impostata, il Milan è un insieme di buone individualità che navigano in uno scollamento generale. Società compresa: la compattezza al vertice rimane requisito fondamentale per avere una compattezza di squadra.
Urge constatare come il Milan di Seedorf ebbe quantomeno una sua identità: l’impronta di gioco dell’olandese era apparsa ben chiara fin da subito, dopo il primo quarto d’ora contro il Verona a San Siro. E per quanto presuntuoso ed inadeguato potesse apparire il progetto di Seedorf, i rossoneri davano sempre l’impressione di scendere in campo eseguendo i dettami di calcio imposti dal loro allenatore. Che tre quarti di squadra fosse inadeguata al progetto tecnico lo stesso Seedorf lo fece capire esplicitamente, ma fu comunque apprezzabile da parte di Clarence il tentativo di mascherare alcune defezioni, che riguardavano soprattutto la fase difensiva, cercando di giocare secondo la filosofia tanto cara al presidente Berlusconi.
Dopo trentasei giornate il Milan di Inzaghi non esiste, probabilmente non è mai esistito. Ed è francamente ridicolo nascondersi dietro la poca qualità della squadra. Per inciso: l’Empoli di Sarri gioca meglio. Questione di intensità, non del semplicistico concetto di “qualità”. I risultati della prima parte di stagione sono stati logica conseguenza di un modo di giocare conservativo, basato sulle ripartenze. Dopo le prime (miopi) critiche, unitamente alle ambizioni europee della squadra, che a fine dicembre dava l’impressione di contendersi la terza piazza con il Napoli, Inzaghi optò per un più “blando” atteggiamento tattico, venendo meno al primo dei dettami della ricetta sacchiana: tattica ferrea. La logica conseguenza fu la perdita di un rigore di gioco, di una diligenza tattica necessaria per sopperire alle carenze qualitative della difesa. Ed ecco ripiombare la squadra in un atteggiamento tattico non più tollerabile: un limite che ha oscurato come un macigno la qualità di molti solisti.
This post was last modified on 19 Maggio 2015 - 00:27