Quanto manca un Kakà al Milan, direbbero la maggior parte dei tifosi. A livello di immagine, prima ancora del suo peso in campo. Il campione brasiliano, oggi all’Orlando City, è stato intervistato da La Gazzetta dello Sport fornendo parole, ricordi e consigli rossoneri.
Sul secondo addio al Milan: “Al termine del campionato avevo anticipato a Galliani che dovevo rientrare in Brasile per risolvere un po’ di cose e che poi avrei deciso se tornare. È allora che ho parlato con Orlando e firmato questo accordo. Galliani è stato il primo a saperlo, l’ho ringraziato per tutto quello che ha sempre fatto per me. Il ritorno al Milan? Avere l’opportunità di poterci rigiocare, anche se per una sola stagione e con tutto quello che ho vissuto in quella società, mi ha reso davvero felice. Mondiale? Un po’ ha influito. Ho fatto di tutto per essere in Brasile: era la Coppa nel Mondo nel mio Paese. Poi quando ho saputo che non avrei fatto parte della Seleçao, ho pensato che fosse arrivato il momento per il salto”.
Dal 2009 al 2003, quante differenze… “Erano passati quattro dalla mia ultima volta, dopo averne trascorsi sei meravigliosi. Certo ho trovato giocatori diversi. Mi pare che dei vecchi compagni fossero rimasti in due, Bonera e un altro (ci pensa su, ma non gli viene il nome… era Abbiati, ndr). C’era Pippo sempre in giro. Ma nessun dubbio: lo spogliatoio era differente. La saudade per il Milan non mi passerà mai. Che cosa mancava a quella squadra? I punti, insomma la continuità dei risultati. Facevamo delle belle partite, come contro il Barcellona o le due contro la Juve, poi però alla fine mancava sempre qualcosa“.
Su Inzaghi: “Pippo è uno che ama il calcio e vive per il calcio. Sapevamo che sarebbe diventato un allenatore: era quello che non perdeva una partita in tv. Per me ha percorso la strada giusta: un anno con gli Allievi, uno con la Primavera. Poi è venuto il momento di prendere in mano una squadra ed è capitato il Milan. Mi pare difficile dire di no a una simile occasione. Forse il timing non è stato dei migliori. Ho visto solo poche partite, do un’occhiata ai risultati e quelli sono già indicativi: raccontano una stagione di sofferenza. Ma io sono ottimista: due o tre anni di sacrifici e poi ripartiremo. Dobbiamo prendere l’esempio della Juve“.
Sul calcio italiano: “Con disponibilità più limitate non è oggettivamente facile competere con squadroni come PSG, Chelsea, Manchester City e le altre ricche. L’Italia non attraversa un bel periodo e le norme fiscali in materia non le danno una mano. Ma durante le difficoltà, qualcuno riesce a trovare delle soluzioni. Mi piace portare l’esempio della Juve, che sta facendo grandissime cose e raccogliendo buoni frutti. Quasi certamente vincerà un altro scudetto e sta andando benissimo in Champions. Evidentemente c’è qualcosa di speciale in come sta lavorando. Come si sconfiggono razzismo e violenza negli stadi italiani? È difficile. Sono situazioni che hanno origine lontana, nell’educazione di un popolo. Questo non è un problema del calcio, ma sociale. E dispiace vedere che lo stadio venga usato come palcoscenico di questi malesseri. E allora il calcio ha il dovere di proteggersi. Perché esistono valori positivi. Me ne accorgo alle nostre partite qui negli Usa: in tribuna, intere famiglie, nonni, bambini. C’è ancora purezza, tutto molto bello“.
Su Balotelli: “Non sto seguendo molto la sua nuova avventura con il Liverpool, però l’ho avuto al mio fianco per un anno al Milan e sono certo che sia un talento. Secondo me a volte non si rende totalmente conto delle responsabilità che ha: sia nel calcio italiano sia nella squadra in cui si trova. Mario sottovaluta l’importanza di questo aspetto“.
Sulla MLS: “C’è più tempo per preparare la partita, le avversarie sono sempre a posto fisicamente: c’è più equilibrio. Beckham? Mi diceva che era un campionato bello, sì, il suo parere è stato importante. Tanti spettatori all’esordio? In Brasile sono molti meno, a volte anche in partite importanti. E poi non mi era mai successo di segnare il primo gol nella storia di una squadra: davvero emozionante“.
Un consiglio di mercato: “Kevin Molino. Viene dal Trinidad, un bell’attaccante. Deve crescere e imparare, ma potrebbe fare bene“.
Sulla Nazionale: “Dunga mi conosce, sa che cosa posso dare. E non penso che il fatto di essere nella MLS possa sbarrarmi la strada. Sto aspettando. Se faccio bene qui e gioco con continuità, so di avere delle opportunità“.
Kakà allenatore? “In questo momento risponderei di no. Chissà, forse fra tre o quattro anni quando smetterò cambierò idea. Ma oggi no. Mi piacerebbe rimanere nel calcio, magari con un ruolo più dirigenziale, come Leonardo“.