Collettivo o meno, il grande campione riesce sempre ad inserirsi nel contesto e apparendo lui stesso in prima persona, eleva di livello anche coloro che gli stanno attorno, aumentando e non di poco il bene diffuso della squadra. Questa in sintesi una delle idee di campione che si può avere. E chi se non colui che si prende la responsabilità di tutti, che trascina, che motiva, che con l’esempio migliora e fa migliorare può essere definito campione? Lo era Maldini, lo era Zanetti per i cugini, lo è Cristiano Ronaldo per il Real, lo è sempre stato Zlatan, e da quando se n’è andato via lui non ne abbiamo più visto uno.
Nemmeno la punta da 30 gol stagionali, che purtroppo noi attualmente non abbiamo con buona pace dei vari Destro e Pazzini, può considerarsi campione vero se non rifornito di palloni che gli permettano quei 30 gol. Menez trascina, è innegabile. Ma il genio del francese è estro allo stato puro, senza vincoli e pertanto slegato da qualsivoglia disegno tattico di un gioco che se non si completa nella squadra non va proprio da nessuna parte. Ieri sera con la Sampdoria, è piombato in una delle sue giornate no: nessun rientro, nessun numero riuscito, e la cocciutaggine di potercela fare da solo quando decisamente non è così. E se Cerci, uno che col dribbling ci sa fare, non ha nemmeno lo spunto di superare l’esodato rossonero Mesbah, le domande su chi veramente abbia le capacità di mettersi sulle spalle questo Milan non trovano risposta.
L’esempio ci arriva dalla controparte blucerchiata: i nostri avversari ieri hanno corso, affrontato il Milan a viso aperto, spavaldi e consapevoli delle proprie doti, ma soprattutto trascinati da un vero campione. Samuel Eto’o ha dato ancora una volta una lezione di intelligenza calcistica a tutti. Per un attaccante trentaquattrenne con trofei e premi personali a bizzeffe correre e sacrificarsi per la squadra è sicuramente una dimostrazione di professionalità che negli ultimi anni nel calcio è tanto rara quanto da proteggere ed esaltare. Onore a lui.