Caro Claudio,
come stai? Ci hanno sempre fatto credere che il tempo curi le ferite, ma ci hanno omesso un particolare: le cicatrici restano.
Sono passati due anni, ventiquattro mesi, settecentotrenta giorni: quanto deve ancora passare per non sentire più male? Spostare il pensiero un po’ più in là, questo allevia il dolore, ma chi ti ha vissuto ogni giorno non proverà mai sollievo sufficiente, e mai accetterà di vedere il vuoto dove prima c’era presenza, la tua.
Eppure, tua moglie e tua figlia hanno una forza straordinaria: le lacrime le hanno tenute per la loro intimità, in pubblico tanti sorrisi, in fondo per ricordarti non c’è arma migliore.
Claudio, ci hanno sempre detto che non siamo noi a scrivere il libro della nostra vita, che non possiamo neanche mettere la firma, ma quello che lasciamo qui quando andiamo via, è roba nostra.
Quanta bellezza hai seminato, Claudio, e quanta ricchezza hanno raccolto quelli che ti stavano intorno. La tua leggerezza, la tua simpatia, la solarità, la tua passione, il tuo ‘essere quello che facevi’, ossia un giornalista, un giornalista amato da tutti (mica facile!).
Ora, ovunque tu sia, vola un po’ più basso e vieni ad aiutarci: il tuo Milan ha bisogno di te.
Che la terra ti sia sempre lieve, Claudio.