Dalle dichiarazioni ai fatti spesso corre una bella distanza, e così si è rivelato anche per il caso di Marco Van Ginkel. Arrivato dal Chelsea come promessa per la linea verde del Milan, si è presto ridimensionato tra infortuni e prestazioni al limite dello scempio. Una prima occasione finita male, con l’infortunio alla caviglia, ad Empoli, poi la rottura del legamento che ha limitato a poco più di 200 minuti l’utilizzo del ragazzo. Mai convincente, mai influente: nemmeno ieri.
Col Parma a San Siro, nella serata del risveglio dell’orgoglio milanista, lui è l’unico a rimanere sopito, vittima di una mancanza di carisma che per un centrocampista centrale con le sue doti tecniche dovrebbe essere la base. Più volte si è visto Inzaghi richiamarlo, cercando di convincerlo che a lui sarebbe spettato il compito di iniziare l’azione, a costo anche di andare a prendersi il pallone direttamente dai piedi dei difensori o del socio Poli. Ma niente da fare, quarantacinque minuti e la decisione di toglierlo.
Con Poli, poi, il feeling non è scattato e in un 4-4-2 molto tradizionale ci si aspettava davvero molto di più. La storia è leggermente cambiata quando ha fatto il suo ingresso in campo Michael Essien, sempre vituperato, ma diligente nel fare il compito a lui assegnatogli. Il ghanese corre e copre le incursioni delle ali e di Poli, a volte imposta come può, e soprattutto segue le indicazioni di Inzaghi che dopotutto non è così male come si pensava solo una settimana fa. Il problema a centrocampo è apparso ieri (dove si poteva osare contro un Parma mai così mediocre) più che mai, la mancanza di carisma e di leadership. Roba che neppure il migliore allenatore al mondo può insegnarti.