Appuntamento con Sympathy for the Devil:Milan, storie e rock and roll: uno spazio a cavallo tra passato, presente e future al ritmo di un brano che evoca più di una suggestione sull’argomento proposto.
MEMORY MOTEL, THE ROLLING STONE (1976)
“You’re just a memory, of a kinda love
I used to be
You’re just a memory
Of a love
That used to mean so much to me”
“Sei solo un ricordo, di un tipo di amore
a cui ero abituato,
sei solo un ricordo
di un amore
che ha significato tanto per me”.
Diciamo che ci ha sfiorato, ci ha accarezzato, con dolcezza e magari anche con un poco di calore. E però non siamo andati fino in fondo, è stata una storia forte ma non definitiva, sentita ma non abbastanza per fare cose grandi. Un’incompiuta, insomma, ma di quelle belle, di quelle che capitano più o meno tutti, una storia breve che tuttavia – forse proprio perché non sei giunto abbastanza avanti per viverne i lati negativi – porta con sè solo i ricordi a colori.
Con Roberto Baggio è stato proprio così, e per il Milan è una di quelle ex di passaggio nella tua vita che tuttavia ricordi sempre con una piccola rullata del cuore. E infatti, non casualmente, ti ricordi in battuta del suo compleanno, e mandi un messaggino di auguri, ciao, come stai, auguri, un abbraccio, parole semplici e implicitamente piene di affetto. E quindi eccolo qui l’sms, ciao Roby, tantissimi auguri per i tuoi 48 anni. È bello, importante, per la storia e il prestigio del Milan berlusconiano che sia passato dalle nostre parti, e che ci sia anche lui in una delle tante foto che compongono la collana visuale dei successi.
È quella dello scudetto 1996, centro al primo colpo di quel Diavolo che in estate si era preso Baggio e Weah, così, d’amblè, con contorno di due ragazzini chiamati Massimo Ambrosini e Patrick Vieira. A pensare a certi mercati di oggi vien da sorridere. Vabbé, tanto quello che pareva comunque straordinario fosse vedere dentro quelle strisce rosse e nere lui, il Divin Codino, Pallone d’Oro e stella assoluta del Mondiale solo 12 mesi prima, bruciato dalla Juventus freschissima campione d’Italia, di cui era il capitano.
Diciotto i miliardi pagati, diciotto il numero di maglia, diciotto come 18 febbraio, diciotto, anzi, diciannove i gol alla fine messi a segno per la causa in sole due stagioni. Pochi perché è durata poco, già. Perché a una partita sì seguiva una partita così così, perché con Fabio Capello – che arrivò a mostrargli il pugno in una malnata trasferta a Bordeaux -, il contrasto, l’incompatibilità era evidente e non solo per l’abissale differenza dei volti e degli sguardi, perché qualcosa non funzionava nelle giunture e qualcosa pure in spogliatoio, perché quando sulla panchina si alternarono in un vortice inedito per le filosofie del Pres Tabarez, Arrigo Sacchi (e vai con altri scazzi) e infine ancora Capello, che non lo voleva più vedere manco dipinto, non ci fu altro da fare che andarsene via, proseguire quella strada da meraviglioso zingaro del pallone che, purtroppo, lo porterà anche all’Inter.
Ma se la vicenda di campo è stata quindi così inferiore alle attese e alle possibilità, perché Baggio rappresenta qualcosa di comunque così vicino al cuore rossonero? Perché l’unica cosa che è stata liscia, bella, pulita, ricca è stato il rapporto con la gente del Milan, che l’ha apprezzato ed amato incondizionatamente, anche nei momenti più ambigui e bui di quei 24 mesi: ed è stata ricambiata sempre, se è vero che Roby, riavvolgendo il nastro della sua folgorante vita da fuoriclasse, non ha mai mancato di ricordare il pubblico sansiresco tra le cose messe via nel baule buono. Proprio un bel feeling, come si sentì anche quel giorno della primavera 2004, due feste da fare, quella dello scudo milanista e quella per il Codino, che con la maglia del Brescia terminava lì la sua vita di tacchetti e arte calcistica.
L’ovazione dedicatagli quella domenica dai suoi vecchi amanti rossoneri l’hanno avuta in pochi, ivi compresi certi giocatori del Milan; così come già qualche anno prima, in occasione della partita-tributo per Franco Baresi, lo scambio, l’abbraccio con l’ex ancora fresco (era il 1997), fu speciale, caldo.
Poi, si sa, la vera moglie, il vero grande amore di Robi Baggio, alla fine della strada, è stata la Nazionale, si chiudono gli occhi e la maglia sovrastata da quei riccioli, da quel faccino, è azzurra. Idolo di tutti, patrimonio di tutti, simbolo che unisce, e va bene così: ma noi, la nostra parentesi privata con i piedi più preziosi di sempre del calcio italiano (che dite? Rivera? ok, sempre da queste parti siamo) l’abbiamo avuta ed è sempre lì, nella parte buona della lavagna della memoria. Se potessimo mandare un mms, Robi, allegheremmo la tua foto in rossonero, maglietta infilata sopra la bandierina del corner sollevata verso la gente – impazzita – in segno di trionfo, avevi appena buttato dentro contro la “tua” Fiorentina il gol dello scudetto. Sembravi la Statua della Libertà, della libertà di giocare, inventare, lasciare spazio alla fantasia, divertire, amare ed essere riamati, anche per poco. Sì, sei un’incompiuta, ma il tuo posto da lì non te lo leva nessuno. Auguri.