Nuovo appuntamento con Sympathy for the Devil:Milan, storie e rock and roll: uno spazio a cavallo tra passato, presente e future al ritmo di un brano che evoca più di una suggestione sull’argomento proposto.
MY NEXT THIRTY YEARS, TIM MCGRAW (2000)
“I think I’ll take a moment to celebrate my age
The ending of an era and the turning of a page.
Now it’s time to focus in on where I go from here.
Lord have mercy on my next thirty years”
“Penso che mi prenderò un momento per celebrare la mia età,
la fine di un’era, una pagina da voltare.
Ora devo concentrarmi su dove andare.
Signore, aiutami, nei miei prossimi 30 anni”
Un compleanno è timbrato dagli anni che si chiudono e non sempre, festeggiando, ci si ricorda che dal giorno dopo si entra in un nuovo giro intorno al sole. Avendo compiuto venerdì scorso 29 anni, l’era berlusconiana del Milan è entrata nell’anno 30 (scrivere XXX faceva brutto) e sappiamo tutti, per esperienza diretta, che quando a scattare è anche quello davanti tra i due numeretti, viene più spontaneo fare un bilancio, guardarsi dietro e soprattutto davanti.
La marcia verso il terzo decennio è cominciata bene, quasi inaspettatamente, il 2-0 col Cesena è proprio il punteggio che, rovesciato, beccò il primissimo Diavolo targato Fininvest, 23 febbraio 1986 (quindi possiamo pure celebrare il compleanno del primo vagito sul campo), a Torino sponda granata bastò e avanzò papà Comi – doppietta – per affondare una squadra che con ogni probabilità era stata anestetizzata dal punto di nervoso dalla sospiratissima buona novella arrivata durante la settimana. Senza arrivare negli abissi raggiunti in questi tristi giorni dal Parma, tutto lo scorcio iniziale dell’anno solare era stato caratterizzato da voci oscene, da minacce di ritiro in buon ordine del “salvatore” di Milano 2, di sequestro di azioni, di rischio libri in Tribunale.
In tutto questo, il Milan di Baresi e del 17enne Maldini, di Hateley e Wilkins, del Barone Liedholm, ma anche di Macina e di Mancuso (che a Torino erano in campo: alzi la mano chi se li ricorda, specie il secondo), diede sorprendente prova di sé tenendo botta, vincendo qualche partita, mantenendosi nelle zone nobili della classifica. Quella domenica al vecchio Comunale torinese, invece, spina staccata: come se il sollievo e l’immediata consapevolezza che qualcosa di tremendamente differente e di enorme stesse per iniziare avesse allontanato testa e gambe dei giovani rossoneri dal prato. Anche a noi, popolo diavolista giovane e no, le due bombe che complicarono la corsa Uefa (e in effetti alla fine non ci arrivammo) non fecero né caldo, né freddo: eravamo già da un’altra parte, impegnati a fare la lista di quelli che sarebbero arrivati, quelli che sarebbero partiti, sogni appena nati sormontati dall’immagine del Giovane Re Mida sventolante il libretto degli assegni.
Colpisce, allora, constatare come domenica, in quel San Siro a chiazze umane, tutto, e non solo il punteggio, fosse rovesciato rispetto a quella prima partita vissuta tra le braccia del Pres. L’atteggiamento in campo, sicuramente più convinto e concreto. Ma altrettanto e soprattutto la fiducia, la certezza di un domani finalmente migliore, il futuro che cominciava in quel momento e che stavolta, per dirla come Enrico Ruggeri (interista), è un’ipotesi. Sugli spalti, idem. Le liste rimangono chiuse anche nella fantasia.
Non parliamo poi del pensiero stupendo sul libretto degli assegni. Così chiuso, anzi, così inesistente. Sparito. Sarebbe così bello e significativo se la marcia del 30° anno, lassù nell’altissima sfera rossonero, fosse almeno iniziato con un bel ricordo, innanzitutto. E quindi con una riflessione profonda, un bilancio, appunto, che eventualmente consideri anche la fine definitiva di una lunghissima e abbagliante fase e metta sul tavolo un foglio completamente bianco, sul quale scrivere da zero un nuovo progetto, qualunque esso sia, basta che ci sia la volontà di non lasciarsi andare, di non accettare la deriva – controllata, ma pur sempre deriva – che rischia di tenerti per sempre al largo. Si tratta di non trasformare il molto usato “vedremo” come una parola d’ordine, di dare una direzione, al Milan e alla sua gente, di prendere decisioni, insomma, che prevedano persino degli altri timonieri. Anche se sarebbe triste, eccome.
In occasione del centenario del club, anno di grazia 1999, ebbi l’occasione di fare due domande due al Pres: la seconda, più o meno creativa (ehm) fu su come si immaginava il Milan del secondo centenario. La risposta fu perfettamente in linea col personaggio: accompagnando le parole a un sorriso, Berlusconi affermò che tanto per cominciare, il presidente sarebbe stato sicuramente lui. Ed esaurita la boutade, più seriamente aggiunse di essere certo che ci sarebbe stato un Berlusconi presidente. Mancano circa 85 anni all’avverarsi della profezia: così, sui due piedi e nel momento, sembra proprio difficile crederci. Sarebbe fantastico. Però la paura, oggi, è di rimanere soli. Il 23 febbraio 1986 a Torino, nonostante la freschissima “scelta di cuore” compiuta, i cronisti furono colpiti dalla completa assenza non solo del nuovo patron, ma di qualsivoglia rappresentante della nuova era. Ecco, dai: fate in modo che questo non sia l’unico punto in comune di quell’anno primo e del trentesimo. E che il Diavolo ci aiuti.
This post was last modified on 6 Marzo 2015 - 17:36