In un’intervista all’inglese Guardian, Zlatan Ibrahimovic pensa seriamente al ritiro: “Sono impaziente. Quando si gioca a calcio, si passa molto tempo negli alberghi e mancano molte cose. Il mio figlio maggiore ha otto anni, l’altro ne ha sei. Ma è come se non avessi vissuto tutti i giorni della loro vita. Voglio essere un buon padre di famiglia e voglio fermarmi quando sarò al top“. Poi sugli inizi della carriera: “Tutti mi sputavano addosso. Pensavano che non sarei andato lontano vista la mia linguaccia – ricorda Zlatan-. Al Malmoe dicevano: ‘Come ha fatto questo punk di Rosengard ad arrivare qui?’ Nessuno credeva in me. Mi credevano completamente pazzo. Ma ho avuto ragione io e i miei sogni da ragazzino alla fine si sono realizzati. Oggi sono dove volevo”.
E ancora: “Il campionato italiano è il più difficile per un attaccante – ammette -. In Serie A pensano ancora che sia più importante non subire gol che segnarne uno. In Spagna invece vogliono fare un gol e poi un secondo e anche un terzo. Nel Barcellona ero probabilmente nella miglior squadra della storia, il loro calcio era magnifico – ricorda ancora-. Quando mi preparavo per una partita, sapevo che avrei vinto prima di cominciare. Guardavo i calciatori vicino a me: c’erano Messi e Iniesta, Xavi e Puyol, Pique’ e Dani Alves e anche Busquets. Incredibile! Era un calcio di un altro pianeta. Tecnicamente perfetto. Erano delle superstar ma era un luogo dove regnava la massima disciplina. Facevano qualsiasi cosa il tecnico dicesse loro di fare. Quando vai in Italia è diverso. Hai 22 grandi personalità e ognuno pensa di essere il migliore al mondo”.
Parole dolci per Mourinho: “È molto intelligente – osserva Zlatan -, non tratta tutti allo stesso modo. Sa però come trattare le persone a livello individuale per trarre il 100% da ognuno di loro. Se è il miglior tecnico con cui abbia lavorato? Sì. Nel modo in cui parla con i propri giocatori, li manipola, non c’è dubbio”.