Tanti problemi, molti punti interrogativi, ma poche soluzioni. Che sia inverno o estate, il clima che accompagna la sessione del mercato del Milan ha un minimo comune denominatore: la totale sfiducia da parte dei tifosi verso una dirigenza che negli ultimi anni ha sprecato e sperperato risorse economiche senza neanche capire il motivo del fallimento. Si sente spesso dire che il Milan debba tornare a puntare sui giovani, investendo sul settore giovanile per tornare a sfornare i vari Baresi, Maldini, De Sciglio. Ma il problema, invece, è da tutt’altra parte: bisogna tornare a capire il vero significato della parola scouting.
Le parole di Barbara Berlusconi dello scorso novembre, rilette adesso a mercato aperto, ritornano prepotentemente d’attualità. La figlia del Presidente criticava l’operato di Galliani dal punto di vista dello scouting, cioè nella capacità di scovare giovani talenti dall’estero, portandoli in Italia quando ancora nessuno sa nemmeno pronunciare il loro nome. Per questo squadre come la Roma rappresentano un modello: Lamela e Marquinos sono gli esempi più ecclatanti, Sanabria e Ucan Silih i futuri crack del mercato romano. Il Milan, invece, in questi ultimi dieci anni è rimasto a guadare i colpi delle altre squadre. Dall’arrivo di Kakà nel 2003, divenuto poi Pallone d’Oro nel 2007, i rossoneri hanno sbagliato tutte le operazioni su Under-23 derivate da scouting estero, escluse le parentesi di Pato e Boateng.
Tornando indietro con la memoria, il primo grande flop nel 2004 fu l’acquisto di Coloccini. Presentato come la futura spalla di Maldini, il difensore argentino con la maglia del Milan giocò una partita e la sua avventura in rossonero finì presto. Forse poco coraggio, forse non era ancora pronto il giocatore sono le cause dell’insucesso. Ma dopo di lui i fallimenti sono continuati: Grimi e Gourcuff nel 2006, Merkel e Strasser un anno più tardi. Giocatori promettenti, portati in Italia appena maggiorenni e spariti dai radar di Milanello. Il 2008 è l’anno dei desaparecidos: Cardaccio, Viudez e Senderos. Ventidue presenze in tre e un biglietto di ritorno per il paese di provenienza. Due anni più tardi si tentarono le carte Montelongo e Didac Vilà, mentre il recente passato porta i nomi di Gabriel, Niang e Vergara: tutte operazioni promettenti ma morte sul nascere per assenza di coraggio e fortuna.
Manca la fiducia, manca la volontà di investire su un giovane straniero, manca una rete scouting che scopra Iturbe prima del Porto, che vada a prendere Neymar prima che diventi l’idolo del Maracanà, che ingaggi Pogba ancora prima che lo United lo lasci senza contratto. Il problema non sono le risorse, ma persone competenti che sappiano fare il loro lavoro. Caro Milan, è ora di aprire gli occhi.
This post was last modified on 9 Luglio 2014 - 21:09