Zambrotta a Milan Channel: “Con Allegri avremmo vinto due scudetti. Non mi fece sentire importante…”

Ospite della “Terza Pagina” di Mauro Suma, su Milan Channel, Gianluca Zambrotta ha snocciolato stasera tutti i principali temi dell’attualità rossonera. L’ex terzino, oggi tecnico del Chiasso, si è soffermato in primis sulla propria autobiografia “Una vita da terzino” (edizioni Kowalski) da pochi giorni in libreria: “Era già da due anni che avevo in cantiere quest’iniziativa, poi la fine della carriera di calciatore e l’imminenza del Mondiale mi ha convinto all’idea di raccontarmi. Sono stato sempre una persona che ha parlato poco e mi sembrava bello raccontarmi un po’ e dire la verità. Racconto senza maschere, in maniera trasparente e con serenità, la mia carriera. Le scelte che ho sempre fatto sono state dettate dal momento, giuste o sbagliate che siano”. E ancora sull’episodio di Arsenal-Milan 3-0 e la tensione tra Ibrahimovic e Allegri: “Eravamo tutti incavolati perchè avevamo rischiato di non passare il turno. Mister Allegri disse: ‘Ragazzi, tutto a posto, non fa niente’. Mi rendo conto oggi che in alcune circostanze l’allenatore dev’essere più duro coi suoi giocatori e quella frase non aveva senso. Dovevamo reagire in un altro modo, era meglio stare zitti. E’ successo poi che Ibra si è alterato. Ho scritto che i due quasi sono arrivati alle mani, ci fu un battibecco nelle docce che sentimmo tutti. Questa è la verità che può confermare anche il Mister”. Poi su Ibra: “Lui era un martello, voleva sempre il massimo da ogni giocatore e chiaramente dall’allenatore. Non voleva mai perdere nè in allenamento, nè in partita”. 

Quindi sul Mondiale 2006 e l’infortunio che rischiò di fargli saltare la spedizione in Germania: “Mi stirai il retto femorale della gamba sinistra, non fu nulla di preoccupante. Potevo evitare un movimento per recuperare un pallone e con una prognosi di venti giorni saltai la prima gara contro il Ghana. I miei compagni, una settimana prima, organizzarono una cena a Forte dei Marmi e mi convinsero ad uscire perchè ero giù di morale. Nel libro racconto la trovata di Inzaghi che disse al ristoratore di offrirci la cena in cambio della Coppa del Mondo. Se non sbaglio, Pippo tornò dopo la vittoria in Germania. Ricordo con piacere il gol all’Ucraina, anche perchè ne ho fatti pochi in carriera. Quello al Mondiale non si scorda mai e Cannavaro me lo disse. Quella partita fu molto particolare, a pochi giorni dall’episodio di Gianluca Pessotto che andai a trovare insieme ai compagni di squadra della Juve”. Su Marcello Lippi: “Per chi l’aveva avuto alla Juve, era una bellissima situazione ritrovarlo in Nazionale. Fu lui nel 2002 a cambiarmi da centrocampista offensivo a terzino. Con l’arrivo di Camoranesi chiese a me che avevo più la mentalità di arretramento a terzino, mi chiese di provare e accettai senza problemi. Avrei giocato anche in porta…”. Sul passaggio dalla Juventus al Barcellona: “Nessuno della Juventus venne a parlarmi per spiegarmi le strategie di ricostruzione. Andare a giocare in Serie B a 29 anni avrebbe significato un percorso di almeno 4-5 per tornare al top. Non avendo risposte dalla società ed essendo agli ultimi anni della carriera, all’apice dopo la vittoria del Mondiale, feci la mia scelta”. E quindi l’aneddoto: Anche il Milan, nel mezzo di Calciopoli, prese tempo con me, Ibra e Buffon. Ibra chiuse poi con l’Inter, ma era del Milan. Lo stesso Buffon aveva quasi chiuso e poi non se ne fece più nulla per l’incertezza del momento. Arrivò la chiamata del mio procuratore per dirmi che c’erano i dirigenti del Barcellona nella sede della Juve per farmi firmare il contratto. Mi trovai in quell’occasione a capire e decidere cosa fosse la cosa migliore. Se la Juve mi avesse fatto sentire importante in un progetto di ricostruzione, ci avrei pensato…”. Arriviamo ai due anni nel Barcellona: “Arrivai in una squadra fresca di vittoria della Champions League, perdemmo la Supercoppa Europea e l’Intercontinentale. La prima stagione fu travagliata, però dal punto di vista umano fu molto importante per conoscere un’umanità diversa in una città bellissima. Quell’esperienza mi ha permesso di crescere perchè mi ha aperto la mente”. 

Sull’arrivo al Milan: “Conoscevo tanti amici, da Gattuso a Pirlo, da Ambrosini a Oddo. Poi ai tempi del Barcellona feci un ritiro a Milanello per una partita e mi immaginai di essere lì ad allenarmi tutti i giorni. Avevo in mente di tornare in Italia e ritrovare al Milan tanti amici. Il fatto di essere vicino a casa e alla famiglia, era un aspetto molto importante soprattutto perchè nell’ultimo anno a Barcellona ebbi una crisi importante con mia moglie. Volevo a tutti i costi tornare in Italia e il Milan era la squadra che sentivo nelle mie corde. Sentivo i vari amici e ci stavo sotto, premevo per andare da loro. Reputavo la Juve e il Milan le squadre migliori in Serie A”. E ancora: “Partimmo non benissimo nell’ultimo anno di Ancelotti, acciuffammo la Champions all’ultima giornata contro la Fiorentina. Ricordo l’addio di Carlo Ancelotti con le lacrime di Pirlo. Ancelotti è stato la storia del Milan e lasciava un pezzo di cuore lì. Ma anche l’addio di Paolo Maldini, bandiera carismatica di questa società, e di Kakà, anima dei successi di quegli anni. C’era un clima da famiglia e l’ho sempre detto: entrare a Milanello è come entrare in una grande famiglia”.

Sui quattro anni rossoneri: “Al Milan ho vissuto quattro anni e mi dispiace aver vinto solo uno scudetto perchè potevamo fare di più. Soprattutto nel secondo anno di Allegri abbiamo perso il titolo per una gestione sbagliata delle ultime gare e lo dico con grande serenità. Nell’anno dello scudetto la partita della svolta fu il derby vinto 3-0 dove rientrai da un infortunio subito molti mesi prima. Il Mister mi diede una grande possibilità e feci una bella gara con tutta la squadra”. Ancora su Massimiliano Allegri: “Mi ricordo che nel secondo anno, prima della gara a Verona contro il Chievo, eravamo in ranghi ridotti e lui ci disse: ‘Se anche fossimo 13-14 farebbe lo stesso’. Non aveva senso dire una cosa del genere in quel momento. Oggi da allenatore mi rendo conto di dover far sentire tutti importanti. C’è sempre bisogno della forza di tutti quanti. A Chiasso siamo riusciti in una situazione molto difficile ad arrivare alla salvezza. In quell’occasione Allegri doveva far sentire importanti tutti i diciassette giocatori a disposizione. Ho avuto la sensazione di non essere importante. Nel libro non ho voluto accusare nessuno, ho solo precisato come quel momento, in quella stagione, poteva essere gestito meglio”. Su Leonardo: “La stagione da allenatore del Milan fu per lui di transizione, la sensazione era che volesse tornare a fare il dirigente. Comunque fece un ottimo lavoro”. 

Non manca un ricordo della gara contro il Novara il 13 maggio 2012, l’ultima in rossonero: “Ricordo ancora quella giornata con affetto perchè fin dal riscaldamento mi salì l’emozione. Pensando a Gattuso mi vennero in mente la sua e la mia carriera, da dentro mi uscirono i lacrimoni. Era giusto dare più importanza a loro che a me…”.

Sul Milan di oggi un pensiero sulla gestione di Ignazio Abate e Mattia De Sciglio: “Non ho mai capito perchè non giochino insieme, rappresentano il futuro del Milan e della Nazionale. Sono due giocatori terzini veri e propri, con loro non c’è bisogno di inventare soluzioni fuori dalla norma. Avrei fatto giocare Abate a destra e a De Sciglio a sinistra”. 

Infine sulla carriera di allenatore: “Voglio continuare a Chiasso, parlerò con la società per portare avanti questo progetto. Il primo obiettivo era la salvezza, l’abbiamo raggiunto con tutto lo staff e i giocatori”. 

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