E alla fine, come già ampiamente previsto, l’Europa League non è arrivata. Il Diavolo, in una delle sue serate più brillanti e vitali dell’ultimo periodo, ha dunque dovuto salutare, almeno per un anno, quelle coppe e quelle sfide infrasettimanali che per tanto tempo lo hanno fatto grande. Strano, se non quasi impossibile immaginare un’Europa senza il rosso e il nero, eppure ora tristemente verosimile: l’ultimo posto sul treno dei desideri, infatti, lo ha acciuffato il Parma di quel Roberto Donadoni che voci sempre più insistenti vorrebbero come successore di Clarence Seedorf a partire dalla prossima stagione.
Il Milan, però, l’Europa League non l’ha persa di certo ieri sera. La sfida contro il miracoloso e già salvo Sassuolo messo in campo da Eusebio Di Francesco, da subito, ha assunto le sembianze di un film di cui ti immagini già la fine. Ci è voluto poco, davvero poco, per ritrovarsi con in tasca il doppio vantaggio. Muntari prima, ancora De Jong poi: la pratica era già archiviata, ora non si poteva fare altro che sperare. Difficile, molto difficile, però, credere nell’impresa del già retrocesso Livorno al Tardini: a metà secondo tempo, infatti, ecco l’uno due targato Amauri. Paradiso per il Parma, di nuovo nel calcio che conta dopo diversi anni di assenza, inferno per Milan e Toro, colpito al cuore dalle lacrime di Cerci, l’uomo che lo ha tradito sul più bello.
Chiudere una stagione nell’anonimato più totale pesa, pesa eccome. Fa ripensare alla campagna acquisti sbagliata già alla radici, ai tanti conflitti dirigenziali, all’eterna incompiutezza di Mario Balotelli, al livello di gioco costantemente basso. Il Sassuolo, insomma, è stato l’ultimo atto di un anno che, purtroppo, non aveva più nulla da dire da un po’. Un anno che avrà un senso soltanto se ora verrà fatta chiarezza, da tante voci. Perché per tornare grandi servono un gruppo, delle motivazioni e una forza che, in questo preciso momento storico, possiamo soltanto ammirare in televisione. Magari ancora una volta in Spagna, dove la commovente reazione e resistenza dell’Atletico di Simeone in un Camp Nou già vestito a festa ci ha fatto capire che il calcio, per emozionare ancora, vive di emozioni, sudore e volti stremati. E, volendo essere un po’ più cinici, anche di quella programmazione che manca ormai da troppo tempo nella Milano rossonera.