Quando si comincia ad avere, a vivere una fede calcistica, non si sanno ancora le emozioni che la tua squadra del cuore potrà regalarti nel corso di un’intera vita. In Italia, in particolare, quando tifi una delle squadre più blasonate, essa sia il Milan, la Juventus o l’Inter, sai che la storia è sempre dietro l’angolo. Ma quando tutte e tre, in una delle primavere più calde del millennio, si trovano nella condizione di potersi guadagnare la finalissima della coppa continentale più amata e più ambita, la storia non può che trasformarsi in mito e il mito non può far altro che tingersi di rossonero.
Perché proprio di rossonero? Beh, è come una di quelle leggi non scritte, una di quelle cose che “si sanno” ancor prima che accadano, che si sentono ancor prima che si vedano. Insomma, com’è o come non è, presentarsi a quella finale di Champions League, quel 28 maggio 2003, dopo aver eliminato senza nemmeno vincere i rivali di sempre, della città e della vita calcistica, era già come toccare il cielo con un dito, candidandosi, con tutte le carte in regola, a vincitori morali di un torneo indimenticabile.
Ma la morale nel calcio è come un cuba libre senza cola, come una pianta senza clorofilla: non conta nulla. Ed ecco che l’Old Trafford di Manchester si trasforma, con tutti quei palloni sospesi in aria, con quel profumo d’Italia che inebria una metropoli di per sé grigia e cupa, in un coro tricolore, in un canto d’amore per il calcio eseguito da un popolo che vive il calcio più come passione irrinunciabile che come mero hobby “tappabuchi”. Gli “undici piemontesi tosti” contro chi sentenzia “Riconquistamola!“. E’ uno spettacolo rossobianconero. E’ l’apoteosi del calcio italiano, la serata delle serate, con quei venti milioni di cuori che battono davanti alle televisioni, record dei record.
Il resto è leggenda: lo 0-0, il gol annullato a Sheva, l’infortunio di Roque Junior, la sequenza dal dischetto… L’estenuante sequenza dal dischetto: Trezeguet che sbaglia, Serginho che segna, i tanti errori di seguito da ambo le parti e poi quel quarto rigore di Nesta che incanala, in modo forse decisivo, il destino. Mancano Del Piero e Shevchenko. Del Piero, lo specialista, non può sbagliare, ma a quel punto è il talento ucraino che ha in mano le sorti della partita-evento, della storia di un club, della sua carriera. Gli occhi di ghiaccio: e chi se li scorda… Palla da una parte, Buffon dall’altra. E’ la vittoria più tirata, ma anche quella più bella. E’ il massimo dei sogni auspicabili.
Quando si comincia ad avere, a vivere una fede calcistica, non si sanno ancora le emozioni che la tua squadra del cuore potrà regalarti nel corso di un’intera vita: poi un giorno ti trovi Campione d’Europa dopo aver eliminato l’Inter e la Juve e capisci che il calcio è nato per far felici i tifosi. Il Milan per renderli i più felici del mondo.
This post was last modified on 28 Maggio 2014 - 10:41