Quando, il 25 febbraio 1987, il Parma di Arrigo Sacchi torna a San Siro per la seconda volta nel giro di pochi mesi, scocca la scintilla. I rapporti tra Silvio Berlusconi e Nils Liedholm si trascinano ormai da tempo e la sconfitta subita contro gli emiliani, con la conseguente eliminazione dalla Coppa Italia rimediata qualche settimana più tardi, è la classica goccia che fa traboccare il vaso. Il Presidente rimane colpito, affascinato, praticamente stregato dal quel Parma tutto corsa, pressing ed organizzazione in corsa per la promozione in Serie A. Arrigo ha solamente quarantuno anni, un passato da calciatore dilettante, pochi capelli ma molte idee e, nonostante la sua limitata esperienza in panchina, con un settimo posto in Serie B come miglior risultato del suo curriculum, è il “Prescelto” per il Milan del futuro.
Le ambizioni presidenziali sono alte, terribilmente alte, e la conferma arriva dal mercato dell’estate 1987: dalla Roma arriva un certo Carlo Ancelotti, dall’Olanda invece ecco Ruud Gullit e Marco Van Basten. Un trio niente male che va ad aggiungersi a giocatori del calibro di Giovanni Galli, Franco Baresi, Paolo Maldini, Mauro Tassotti, Alberigo Evani e Daniele Massaro. Ma, molto probabilmente, i propositi dell’uomo di Fusignano sono ancora più “bellicosi”. Da Parma si porta Walter Bianchi e Roberto Mussi, oltre al preparatore atletico Vincenzo Pincolini, ma sono le sue idee a rivoluzionare il mondo rossonero in particolare, e quello del calcio in generale.
Il Liverpool campione d’Europa di Paisley, il Brasile ed il Calcio Totale olandese sono le sue ispirazioni, tradotte in concetti inderogabili: zona, pressing alto, fuorigioco, e soprattutto il 4-4-2 come dogma inderogabile. All’interno dello spogliatoio e nella vita di tutti i giorni le cose cambiano, e parecchio, per giocatori e staff tecnico. Carichi di lavoro incredibili per quei tempi, rigidità assoluta negli orari, impegno da parte di tutti, dal ragazzino al campione, schemi mandati a memoria e sedute tattiche fino alla nausea. Una rivoluzione autentica, sostenuta da un gruppo di giocatori che hanno abbracciato fin da subito il credo calcistico del nuovo tecnico, che porta a risultati inimmaginabili. L’avvio soft del campionato d’esordio è dovuto proprio a questo: i giocatori devono assimilare tutti i movimenti, tutte le idee di Sacchi, e l’infortunio di Van Basten fa il resto. Ben presto però i rossoneri diventano una macchina perfetta e con una rimonta incredibile, culminata con la vittoria al San Paolo contro il Napoli capolista di Maradona, portano a casa lo Scudetto numero 11 della storia.
La strada è tracciata: sta per nascere il Milan degli Immortali. L’arrivo del terzo olandese, Frank Rijkaard, è l’ultimo pezzo del puzzle, l’ultimo tassello utile a completare un mosaico fantastico, un’opera mai vista prima, apprezzata da chiunque in Italia, in Europa, nel Mondo. Nel giro di quattro stagioni Arrigo Sacchi semina innovazione e raccoglie trofei. Uno Scudetto, oltre a due secondi posti ed un terzo posto, una Supercoppa Italiana, due Coppe dei Campioni, due Supercoppe Europee e due Coppe Intercontinentali. Ma ciò che stupisce, oltre a risultati clamorosi come il 5-0 rifilato al Real Madrid nella semifinale di ritorno della Coppa Campioni 1988/89, è il domino totale del campo, della partita e degli avversari. Una sensazione di superiorità che probabilmente, in tempi recenti, ha dato solamente il Barcellona di Guardiola. Lascia il Milan per la Nazionale raggiungendo, non senza critiche e polemiche, il secondo posto nel Mondiale di USA ’94, prima di tornare in rossonero nel dicembre 1996, subentrando ad Oscar Washington Tabarez e traghettando un Milan deludente all’undicesimo posto in campionato.