Sì, esistono tanti modi anche di perdere. Puoi perdere con l’onore delle armi, stremato dalla fatica e dopo aver combattuto fino all’ultimo respiro. Puoi uscire di scena perché inferiore tecnicamente, ma comunque integro nell’orgoglio e nello spirito. L’Arsenal di Arsene Wenger, in questo senso, ieri sera all’Allianz Arena ha dato una lezione a tutti: si può anche non passare il turno, si può anche salutare la Champions senza per questo perdersi come squadra, come identità di gioco, come filosofia.
Il Milan visto di scena al Vicente Calderòn, purtroppo, non rientra nemmeno parzialmente in una delle categorie descritte sopra. Sabato, nel torpore di Udine, si era detto che la testa fosse già a Madrid: mai parole furono meno azzeccate. Mediocrità, nessuna predisposizione alla corsa e al sacrificio, limiti tecnici evidentissimi, intensità e agonismo dimenticati sull’aereo: uscire con un sonoro e inappellabile 4-1 è diventato dolorosamente inevitabile. L’avversario, l’Atletico Madrid di Simeone, pur senza brillare, ha messo in campo l’indispensabile per aver ragione di un Diavolo così piccolo: cattiveria agonistica, pressing a tutto campo, individualità in grande spolvero (menzione speciale, forse banalmente, per il bomber Diego Costa).
I singoli del Milan, al contrario, hanno tradito. Hanno deluso l’impalpabile Balotelli, il troppo lezioso Taarabt e il lacunosissimo Essien, tanto per fare qualche nome. Dal calderone, eccetto la grinta del sempre più solo Poli e dell’eterno Ricky Kakà, non possiamo proprio più salvare nulla. E Clarence Seedorf, forse per la prima volta, è apparso in difficoltà di fronte a questa sua creatura tanto timida quanto incapace di reagire.
E dire, che una volta, al Milan bastava sentire “la musichetta” per trasformarsi. Adesso, però, non basta nemmeno più la magia della Champions per restituire qualche motivazione e un po’ di coraggio in più a dei giocatori che, invece di vivere la maglia rossonera con orgoglio, la considerano un ripiego di fine carriera o un mezzo di passaggio per arrivare a palcoscenici ben più appetibili.
Come ci siamo arrivati, fino qua? Dovrebbero chiederselo in tanti, senza più nascondersi dietro alibi, progetti e obiettivi che, ora come ora, questa squadra non è in grado di raggiungere. Urge un’analisi di coscienza, insomma, a cominciare dai piani alti. Perché serate come queste non sono degne della storia del Milan, perché il rossonero deve tornare a brillare e per farlo ha bisogno di investimenti, idee e concretezza.