Inzaghi non merita di essere un Caronte qualunque: lo capiranno?

Christian Pradelli è giornalista professionista e direttore di SpazioMilan.it dalla sua fondazione, l’8 marzo 2011. Editorialista per IlSussidiario.net, collabora con La Gazzetta dello Sport, Il Giornale e Leggo. Conduce il varietà sportivo “Falla Girare” su Radio Reporter ed è opinionista per Milan Channel. È la voce ufficiale del Milan per TopCalcio24, canale del gruppo Mediapason.

Tra poco si consumerà quello che in tanti aspettano da tempo: Massimiliano Allegri non sarà più l’allenatore del Milan. Una decisione maturata (forse) dopo la serata più pazzesca di questa stagione irripetibile. O almeno speriamo sia così. Pippo Inzaghi è pronto ad entrare nel frullatore: scelta sbagliata, sbagliatissima. Scelta che, ancora una volta, arriverà solo per necessità, sulle ali dell’entusiasmo per un derby Primavera stravinto ieri pomeriggio al “Facchetti”, senza pensare che, probabilmente, SuperPippo merita di terminare con tranquillità una stagione che lo vede in corsa per le Final Eight di categoria, per la Youth League e per il Viareggio, ancora da disputare a febbraio. Ma tant’è: la soluzione interna più giusta e naturale, quella di Mauro Tassotti, non convince tanti tifosi proprio perché Mauro, a detta loro, si è troppo identificato in Allegri per poter dare una reale smossa all’ambiente.

Ambiente che ieri, ancora una volta, ha mostrato tutti i suoi limiti: strutturali, di carattere, di maturità. Laddove non si è toccato il punto più basso del gioco, visto che le occasioni non sono mancate, ci hanno pensato i singoli a trascinare la squadra in un gorgo sempre più profondo ed inspiegabile. Esemplare il gol del 3-2: l’azione parte da un calcio d’angolo per il Milan che si trasforma, in pochissimi secondi, nel terzo gol di Berardi. Pazzesco. Difficile esentare la società da colpe evidenti, perché se è vero che Allegri si è esibito in un autogol dei suoi “licenziandosi” in conferenza stampa giusto sette giorni fa, è anche vero che il caos ai piani alti ha peggiorato una situazione già per sé insostenibile. Ed è questa la vera differenza con la scorsa stagione, dove il marasma tecnico era stato salvato dalla proverbiale solidità presidenziale. Oggi assente, inesistente.

Sia chiaro: due amministratori delegati potrebbero anche coesistere, abbiamo esempi di società in cui questo succede. Ma è difficile pensare che il puzzle potesse reggere in un club che, per 28 anni, è dipeso dal lavoro incessante e a tutto campo di Adriano Galliani. Oggi, l’ad dalla cravatta gialla, rispetto a Barbara Berlusconi, resta ancora “vicario”, ovvero, in assenza del presidente, la firma che conta è ancora la sua. Ma le parole di ieri sera di Lady B hanno fatto intendere, ancora una volta, quanto la presunta divisione dei ruoli, sottoscritta lo scorso 18 dicembre, sia stata più che altro formale. Di parola, ma non di fatto. Il fatto, oggi, è che il Milan è a 30 punti dalla vetta, a +6 sulla zona retrocessione e in procinto di scegliere un traghettatore, Inzaghi, che non merita di fare la fine di un Caronte qualunque. Chissà che in via Rossi, almeno stavolta, pensino un po’ tutti al reale bene del Milan.

Twitter: @Chrisbad87

Gestione cookie