Nell’estate del 2010 Enrico Preziosi acquista Kevin Prince Boateng per cinque milioni e settecentomila euro. Quattro giorni più tardi il Genoa lo cede al Milan. Esordio contro il Lecce nella prima giornata di campionato (non gli era mai successo prima). Esordisce anche in Champions League contro l’Auxerre, dove regala ad Ibrahimovic la palla dell’uno a zero. Da qui in poi sarà l’ascesa per lui con il Milan. Si guadagnerà il posto fisso se non sulla trequarti sulla linea mediana, e solo i vari infortuni alla schiena e al ginocchio non lo faranno essere presente in tutte le partite. Concluderà la prima stagione con lo scudetto, 26 presenze e 3 gol.
Il meglio di se però, lo da quando gioca come trequartista. Lui non è il classico numero dieci, anzi con i famosi numeri 10 che hanno militato nelle file rossonere non ha niente a che vedere. Boateng non è un ragazzo “delicato”, tutt’altro: fa della sua forza fisica e della sua determinazione armi fondamentali che gli permettono di essere a certi livelli. E’ un giocatore che quando vuole può cambiare le sorti del match grazie al suo estro, per non definirlo quasi pazzia nel tentare certi colpi che il più delle volte gli riescono (vedi il gol contro Barcellona ed Arsenal, la tripletta di Lecce).
Ma dopo la metà della seconda stagione qualcosa si rompe. Il Milan perde il Boa, che è quasi sempre in infermeria, per la maggior parte delle partite successive ed il campionato va alla Juventus. Via Clarence Seedorf, il dieci va sulle sue spalle. Ma, quella maglia pesa come un macigno e il ghanese non riuscirà più ad incidere. Le sue prestazioni sono spesso irritanti e deludenti. Gol a Catania e ottime gare contro Lazio e Barcellona sono gli unici acuti di una stagione da dimenticare in cui viene spesso inserito nella lista dei possibili partenti.
Inoltre ad inizio gennaio succede qualcosa che rompe definitivamente gli ultimi fili di un amore ormai al capolinea. I cori razzisti nell’amichevole di Busto Arsizio che lo fanno andare su tutte le furie e uscire dal campo. Le sue dichiarazioni sono inequivocabili: “Sono molto deluso sto pensando seriamente di lasciare l’Italia”. E questo pensiero non lo ha più abbandonato. Nemmeno dopo che mercoledì sera, la sua doppietta, la sua uscita dal campo e la standing ovation di San Siro sembrava aver ricomposto il rapporto fra lui e l’ambiente rossonero. Niente di tutto ciò. Dopo tre anni la storia è finita ed è finita male. L’ex idolo della curva è andato via senza nemmeno salutare.