2 anni di giovanili e 5 in Prima Squadra non si possono dimenticare: è lavoro, è passione. E’ Milan. Luca Antonini, in un’intervista concessa al mensile ufficiale rossonero “Forza Milan!”, non ha nascosto delusione e sofferenze di una stagione vissuta ai margini, quasi sempre in panchina, ma ha anche e soprattutto lasciato intendere che la sua volontà è quella di rimanere. Nessuna cessione, anche se piacerebbe un’esperienza all’estero, a meno che non sia l’amico Galliani a decidere di interrompere il rapporto: cosa che, visto l’infortunio di Abate (lussazione alla spalla, quasi due mesi di stop), è sempre meno probabile.
“Il mio desiderio e la mia ambizione mi portano a sperare di finire la carriera al Milan, però capisco che in un momento come questo la società abbia scelto di puntare sui giovani, decidendo di rinnovare anno per anno i contratti di chi ha superato la trentina. Ognuno dovrà fare le proprie valutazioni, parlerò con la società e cercheremo di capire insieme i progetti che hanno su di me. Un conto è essere tifoso del Milan, un altro la professione. Da parte mia non ci sono problemi, so che Galliani mi vuole bene come persona perché sono nato e cresciuto qui come calciatore: mi stima e sono sereno. L’anno scorso è stato difficile digerire la panchina, all’inizio ero triste e contrariato. Non è mai facile restare fuori: ti alleni duramente tutta la settimane e poi non giochi, è come non completare al meglio il tuo lavoro. Indossare la maglia che hai sempre sognato e non poterla vedere sudata a fine partita è dura. E’ andata così, ma se guardo indietro non posso lamentarmi perché in passato ho sempre giocato con continuità. Sono un professionista e sono convinto che l’impegno paga sempre: mai mollare, perché fai solo male a te stesso”.
Nel 2012/2013 Antonini ha collezionato solo nove presenze, nel corso dei mesi il Milan ha cambiato pelle e dopo un avvio disastroso è riuscito a conquistare un grandissimo traguardo come i preliminari di Champions: “Se dopo le prime otto giornate mi avessero detto che avremmo raggiunto la zona Champions avrei firmato subito, credo come tutti i miei compagni. La falsa partenza è dovuta ai grandi cambiamenti avvenuti la scorsa estate, sono andati via storici campioni e al tempo stesso inseriti alcuni giovani: c’era bisogno di tempo e rodaggio. All’inizio i più ‘piccoli’ hanno acquistato esperienza, noi ‘vecchietti’ ci siamo concentrati su quello che non andava. Mancava equilibrio, senza vittorie non c’era fiducia e questo ha pesato nel corso dei mesi. Ragionando come un tifoso sarei contento del nuovo progetto del Milan: puntare e far crescere i giovani vuol dire rimanere competitivi, è la strada giusta per ricominciare a vincere”.
Senso di appartenenza. E’ questa la differenza per un rossonero fin dalla nascita e qualsiasi altro giocare che viene da fuori per il 77 del Diavolo. Un valore che non si inventa né tantomeno tramanda, un marchio di fabbrica unico che incide nella vita di ogni giorno: “Se cresci nell’ambiente Milan sviluppi un attaccamento alla maglia senza confronti, solo chi è nato nel Milan può capirlo: dare il massimo, sempre e comunque. Gli stranieri hanno una mentalità diversa, nei momenti di difficoltà possono reagire in maniera differente, nagari sono più forti perché affrontano i problemi con più leggerezza. Russia? Parliamo di un campionato molto lontano dal nostro, sia come distanza che come organizzazione. Detto questo, un’esperienza all’estero mi piacerebbe farla, anche per capire le difficoltà di adattamento nelle altre realtà”.
Ed ancora: “Sogno di vincere la Champions. San Siro è un bellissimo stadio, incute timore per grandezza, vicinanza e calore del pubblico: non a caso squadre come il Barcellona, per esempio, a Milano non riescono ad imporre il loro gioco. In tv guardo spesso le partite della Premier League. Sono rimasto sempre in contatto con Favalli, un ragazzo eccezionale a cui sono legato da grande amicizia, ci sentiamo spesso. Così come con Van Bommel. Nel calcio non è facile mantenere i rapporti quando non si gioca nella stessa squadra. Essere al Milan ti aiuta a sopportare le pressioni, ti migliora soprattutto mentalmente più che fisicamente: altrimenti rischi di venir mangiato dal sistema. Tra vent’anni spero di rimanere ancora nel calcio ad allenare i ragazzini, possiedo un patentino da allenatore Uefa B e vorrei metterlo in pratica: ci vorrà una pazienza infinita, ma pretenderò sempre rispetto dai miei calciatori”.