Stavolta Andrea Pirlo, al capitolo venti del suo libro “Penso quindi gioco” non se la prende con un compagno. E nemmeno una ex squadra. Bensì lancia sospetti sugli avversari di una delle partite più brutte della storia del Milan in campo europeo: quel Deportivo La Coruna, che nei quarti di finale della Champions League 2003/2004 eliminò i rossoneri ribaltando il 4-1 subito a San Siro in un sonante 4-0.
Ecco cosa racconta l’ex centrocampista del Milan: “Le probabilità che non riuscissimo a passare il turno erano pari a quelle di vedere, prima o poi, Gattuso laureato in lettere. Già pensavamo alla semifinale, come se ce l’avessero cucita addosso prima di salire sull’aereo per la Galizia. Una passeggiata confezionata su misura per noi. Non avevamo considerato un paio di altre possibilità: che il sarto impazzisse ma soprattutto che i giocatori della nostra squadra fossero colpiti da una grave amnesia, tutti insieme nello stesso momento. E’ accaduto l’impensabile, ci siamo dimenticati di giocare, è finita quattro a zero per gli altri. Ci hanno ridicolizzati”.
E ancora: “Ci siamo fatti male da soli, e questa è la premessa necessaria, però ripensandoci a qualche anno di distanza c’è qualcosa che non mi torna. I nostri avversari andavano a mille all’ora, compresi giocatori un po’ in là con l’età, che non avevano mai fatto della velocità abbinata alla resistenza fisica il loro punto di forza. La scena che più mi ha colpito è stata vederli correre, tutti, nessuno escluso, anche nell’intervallo. Quando l’arbitro Maier ha fischiato la fine del primo tempo, sono schizzati nello spogliatoio, l’andatura era quella di Usain Bolt. Non riuscivano a fermarsi nemmeno in quel quarto d’ora di riposo tecnico, inventato apposta per tirare il fiato, quantomeno per camminare. Fulmini imprendibili, schegge impazzite”.
Infine il nocciolo: “Non sono in possesso di prove, per cui la mia non è un’accusa, mai mi permetterei di formularla. Semplicemente è un pensiero cattivo che mi sono concesso, però per la prima e unica volta nella vita mi è venuto il dubbio che qualcuno sul mio stesso campo potesse essersi dopato. Forse è solo la rabbia di un momento non ancora riassorbita. I calciatori del Deportivo erano assatanati, galoppavano verso un traguardo che solo loro intuivano (ciechi noi, che infatti siamo stati brutalizzati). In semifinale hanno incontrato il Porto e sono stati eliminati, nel giro di qualche tempo sono spariti da tutte le competizioni che contano”.