Sono passati 3650 giorni o se preferite 10 anni da quando Paolo Maldini ha alzato al cielo d’Inghilterra la Coppa dei Campioni numero 6 della nostra Storia. Da allora molto è cambiato in casa Milan e non poteva essere altrimenti. Perfino il gioco in sè, di fatto, non è più lo stesso. Più veloce, più fisico. Della rosa attuale solo Ambrosini ed Abbiati possono vantare di portare quella medaglia sul petto. Il primo al momento ha i gradi di Capitano, il secondo di vice e oggi a differenza di allora, è addirittura titolare. Massimo potrebbe lasciare Milanello in estate, mentre Christian ha già rinnovato un altro anno. Strana la vita.
Impossibile pronosticare quando potremo tornare a vivere emozioni come quelle che una finale di Champions League sa regalare. Certo il mercato estivo e i preliminari del prossimo agosto ci aiuteranno a capire chi siamo, ma realismo e obiettività ci suggeriscono che la strada per una finalissima è ancora lunga.
Tutt’altra situazione pare vivere la nostra avversaria di quel 28 maggio 2003. Per i bianconeri quella è stata l’ultima apparizione ai vertici. Da mesi tuttavia, unanimemente carta stampata e tg sportivi, indicano in modo quasi ossessivo, gli uomini di Conte come gli unici in grado di poter riportare in patria il trofeo più ambito. Sicuramente la Vecchia Signora è la squadra migliore del paese e lo ha ampiamente dimostrato negli ultimi due anni, ma i risultati internazionali ottenuti questa stagione hanno fatto trasparire diverse lacune.
Di vero c’è che è la seria A nel suo complesso ad esser inferiore a Liga, Priemer League e Bundesliga. Ci si illude che vi siano formule matematiche che possano riportare il nostro calcio ad altissimi livelli. Copiare gli altri sistemi non da garanzia di risultati e nemmeno emulare i moduli di Kolpp e Heynckes ci restituirà la gloria europea, con buona pace dei media italiani.
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