Si comincia proprio con il nodo fair play, che molti oggi fanno ancora fatica a comprende appieno: “Il progetto è frutto di un percorso condiviso, nato dallo spunto del presidente Platini ma, poi, ragionato fra UEFA, le squadre di calcio, le Federazioni e i calciatori. Platini riteneva, inizialmente, che occorresse giungere all’eliminazione totale dei debiti da parte delle squadre. In ambito ECA abbiamo fatto però osservare che la presenza dell’indebitamento bancario, di per sé, non rappresenta un fattore negativo, tanto è vero che è tradizionalmente presente in tutte le aziende, di tutti i settori industriali. Da lì si è partiti per costruire un regolamento che fosse centrato sul pareggio di bilancio, nella convinzione che quello fosse un obiettivo realmente interessante per tutti. I club europei hanno un rapporto diretto con il CFCB (Club Financial Control Body, l’ente che si occupa di valutare il rispetto dei requisiti finanziari, ndr): ciascuna squadra provvede ad inviare dati e documentazione perché questa venga esaminata ai fini delle valutazioni relative al Fair Play Finanziario. Se dovesse accadere che, su determinate questioni, la posizione del CFCB diverga da quella della Società e se questo conflitto portasse a determinare delle sanzioni a carico del Club, allora verrà attivata la tradizionale procedura con i passaggi dinanzi alla Commissione Disciplinare e, successivamente, al TAS di Losanna“.
Ma che idea si è fatto Gandini sull’applicazione del FPF finora? “Credo che la discussione negli ultimi mesi sia stata troppo concentrata sulle sponsorizzazioni di squadre come PSG e Manchester City, che comunque sono molto “particolari”, mentre ci sono altri aspetti per i quali, credo, non sia ancora stata trovata una soluzione che garantisca un’omogeneità di valutazione. Intendo dire che esistono delle differenze nei principi contabili delle singole nazioni UEFA e nei processi di valutazione che in questo momento non rendono tutte le squadre “uguali” rispetto ai meccanismi del Fair Play Finanziario e mi riferisco soprattutto ai modelli adottati nei paese dell’Est Europa“.
Altra quaestio è quella relativa al possibile inserimento del Salary Cap, il tetto d’ingaggi tanto invocato dai tifosi e nato negli sport made in USA; ma Gandini è pessimista: “La realtà americana è molto diversa dalla nostra. Si tratta di Leghe che sono “chiuse”, senza retrocessioni. Il numero di soggetti che devono condividere un certo approccio è contenuto e direttamente interessato. Non credo, quindi, che il modello statunitense potrebbe essere applicato tal quale“.
Qualcuno, poi, ritiene che un buon modo per coinvolgere i tifosi nelle sorti del club, è quello di permettere l’acquisto di quote societarie ai supporters: “Credo che ciò che accade in Europa sia molto interessante. Credo altrettanto, ma molto dipenda da un fattore culturale delle singole nazioni. In Inghilterra, ad esempio, il tifoso-azionista esisteva, ma oggi quasi non c’è più. La Germania è il paese in cui tale modello è riuscito a radicarsi meglio, mentre in Italia abbiamo una cultura che non ci permette di beneficiarne“.
Chiusura, quella di Gandini, sull’annosa querelle degli stadi di proprietà, materia che vive in un limbo tra leggi mancate e fondi insufficienti: ” “Credo che lo slogan “stadio di proprietà” tragga in inganno. Non è la proprietà dell’impianto che fa la differenza, quanto la possibilità di sfruttamento dello stesso da parte della squadra e dei tifosi. Il Milan vuole rimanere a San Siro e se ci fosse la possibilità di farlo diventare un impianto esclusivamente dedicato al Milan saremmo ben felici di studiarla e, laddove possibile, di rendere operativo un progetto”.
This post was last modified on 3 Maggio 2013 - 19:33