A seconda delle vostre preferenze potete chiamarla involuzione, stanchezza, appannamento, calo fisiologico e in un certo senso anche momento di crescita. Sono tante le sfumature che descrivono lo strano caso di Stephan El Shaarawy, passato da vero e proprio Faraone del girone d’andata a semplice co-protagonista in quello in corso. Sarà Balotelli a oscurare la sua stella? Oppure davanti alla porta arriva troppo fiacco per avere la giusta lucidità?
Siamo oggettivi, per lui parlano i numeri: 20 gol stagionali e, anche se la Serie A chiudesse oggi, avrebbe ampiamente dato il suo contributo. Nell’anno dell’addio di Ibrahimovic ha saputo prendere per mano la squadra nei momenti più difficili. Innarestabile però non lo è, ecco allora lo stop, da gennaio un solo gol, pesante, nel derby contro l’Inter, ma isolato e ormai lontano due mesi. Soffre il piccolo Faraone per questa astinenza, copre in fase difensiva, ma non punge davanti. Aiuta, ma non trova la gioia personale.
Rischia di diventare un’ossessione e come ha spiegato Allegri non deve esserlo. Domenica sera a San Siro si è visto quanto il peso di questa mancanza possa fare brutti scherzi: 70′, Milan sotto per 1-2, palla al classe ’92 che lasciato libero dai difensori etnei e con lo specchio della porta ben visibile, manda incredibilmente, e non di poco, a lato. Ad un errore del genere non ci crede nemmeno lui. Troppo abituato a far bene, a tirar fuori dagli impicci la squadra che tifa fin da bambino. Eppure è successo: El Shaarawy non è Re Mida, non trasforma ogni pallone in oro e spesso, come ogni attaccante e ancora di più come un ventenne, sbaglia. Imparare a sopportare le critiche, questo è il nuovo compito per diventare grandi. E come lui ha preso per mano il Milan, ora il Milan prenderà per mano lui.