C’era una volta un brasiliano scoppiettante. C’era una volta un calciatore tanto bravo con il pallone quanto un funambolico circense lo è con la sua corda. Incantava gli stadi con le sue finte. Questo nel 2011, quando il Milan si portò a casa con estremo orgoglio lo scudetto numero diciotto.
Stiamo parlando di Robinho. La sua storia assomiglia a quella di molti fuoriclasse approdati nei grandi club: un arrivo paradisiaco, un compagno di gioco con cui creare l’intesa perfetta (Ibrahimovic), l’esperienza internazionale, la smania di vincere, la voglia di riscatto. Poi l’ombra. Quello che prima incitava la folla non riesce più e il ruolo da titolare è messo sempre in discussione. Arrivati a questo punto non è facile mantenere la fiducia, ritrovare se stessi e le proprie prodezze. Dagli incitamenti delle folle si passa ai fischi e tutto sembra svanire nel nulla, anche la capacità di centrare la porta. Questo, riassunto brevemente! è stato il 2012 di Robinho. A gennaio la voglia di tornare in Brasile era tanta, soprattutto per chi, in un Milan da ricostruire, non era più in grado di ritagliarsi uno spazio.
Poi qualcosa è cambiato di nuovo. Il giocatore quest’anno ha totalizzato per ora 18 presenze e sebbene solo 7 di queste siano state effettivamente da titolare il bottino delle reti si può definire piccolo ma fondamentale : due gol nelle vittorie contro la Juventus (su calcio di rigore) e Torino. E’ vero che dal suo rientro in Italia non ha ancora inciso (complice forse l’arrivo di Balotelli), ma quel che conta è che sembra ricaricato. Riecco, pur a sprazzi, il leader dell’epoca “c’eravamo tanto amati” fortificato dall’esperienza accumulata.
Per il Milan questo è un momento cruciale della stagione, dopo una rimonta sfavillante in campionato, la squadra sta trovando un’identità. E di questa identità devono far parte più campioni possibili. Nulla va più lasciato al caso, tanto meno adesso che il secondo posto sembra più vicino e (soprattutto) in vista della gara contro il Barcellona. Robinho potrebbe rivelarsi proprio l’uomo giusto in Europa, un’arma in più nello scacchiere di Allegri, sempre se da tutto questo polverone intenda uscire completamente riformato.