Una scelta drastica, insomma, per cercare di arginare un fenomeno sempre più in espansione anche nel mondo dello sport e soprattutto del calcio. Fenomeno, quello del razzismo da stadio, in linea di massima diverso sia dalla convinzione darwiniana inerente la presunta superiorità di una razza rispetto a un’altra, sia dalla concezione etnocentrico-xenofoba. Ma comunque da condannare e reprimere, poiché in grado di rovinare e contaminare le manifestazioni sportive, momenti di svago e spensieratezza. Il discriminatore medio presente sugli spalti, infatti, non insulta un atleta di colore poiché realmente intollerante verso diversità sociali e culturali. Ma per il semplice gusto di danneggiare moralmente i protagonisti della competizione, a causa di motivazioni in prevalenza sportive e strettamente personali ma non ideologiche, traslate in ambito razziale tramite insensate generalizzazioni. Condizione fondamentale affinché ululati e sfottò razzisti prendano il sopravvento sulla competizione è però l’attiva collaborazione di più spettatori. Già, quando agisce, il razzista da stadio si manifesta sotto le vesti di una persona fragile nell’essenza e alla costante ricerca di certezze. E che nel momento di massimo sfogo, se supportato, si illude per una manciata di attimi di potersi impossessare del mondo. Un po’ come Charlot ne Il Grande Dittatore…
L’Unione delle Federazioni Calcistiche Europee non ha potuto allora non intervenire con fermezza, specie alla luce delle più recenti situazioni verificatesi. Anche perché le manifestazioni razziste mirano a indebolire due dei suoi undici valori chiave, Calcio in primo piano e Rispetto. Nessuno, però, si illuda. Lo scontro mirato alla conquista di cori meno contaminati da offese e ingiurie è ancora lunga. Certo che, applicando alla lettera il monito in data odierna verbalizzato dall’UEFA, è stato compiuto un enorme passo avanti. Il primo, si spera, di una lunga serie.
This post was last modified on 28 Marzo 2013 - 21:24