Luca Bertelli, già collega di Claudio Lippi a Milan Channel, ha affidato a SpazioMilan.it il suo ricordo di un collega più che speciale.
La cosa che più gradirei in questo momento è che tu sbucassi all’improvviso dalla porta della mia camera, dove sto provando senza riuscirci a prendere sonno (per questo mi sono messo a scrivere, cosa credi?). Sarebbe bello se tu mi dicessi: “Cestelli (una delle dozzine di varianti trovate al mio cognome), ci hai creduto anche tu?“. Poi sorrideresti. Come sempre. Era, decisamente, la tua specialità. Mica è da tutti. A te, invece, veniva spontaneo. Per questo, poi, mi piacerebbe molto tornare assieme in via dei Valtorta, nella vecchia sede, quando le nostre postazioni erano vicine e ci spiavamo le chat su Facebook (in pausa pranzo, s’intende…).
Vorrei leggere con te tutti i commenti apparsi in queste ore su internet. Ci faremmo grandi risate. Senti la ‘Gazza’ cosa dice: “Giornalista instancabile, sempre a caccia della notizia. Una scheggia tra via Turati, Milanello e San Siro“. Una cosa è vera: correvi solo là perché in redazione, purtroppo, non ti si vedeva mai. Ricordi quando, per prenderti in giro, dicevo che con il tempo effettivo in stile basket ci avresti messo 3 mesi a pareggiare le nostre ore settimanali? Stare dietro a una scrivania non faceva per te. Milanello era casa tua ed instancabile, questo sì, lo eri anche a tavola. Del resto, come nel calcio, c’è chi nasce per giocare terzino o mediano e chi viene pagato per fare gol o regalare fantasia alla squadra. Tu eri un nove e mezzo alla Baggio, il nostro giocatore preferito (insieme a Hernan Crespo, ovviamente: mi è toccato venire a salutarti fino a Rozzano per vederlo di persona, se aspettavo che me lo presentassi…). Anche se ti ho visto giocare una sola volta – male – con il 7. Nella vita serve la qualità, non solo la quantità (il direttore non sente, spero). Tu intuivi dove poteva finire la palla quel secondo prima. Che fa, sempre, la differenza. Per questo ti invidiavo e ti stimavo, anche se non te l’ho mai detto con quella serietà a noi poco affine.
Quando volevi, eri un grande assistman. Come la prima volta in cui andai a Milanello e tu mi chiamasti il giorno prima, per dirmi: “Sono o non sono il tuo collega preferito? Ti faccio intervistare Pato…“. Non ho mai capito se tu avessi sbagliato a vedere i turni e il regalo fosse nato per sbaglio, ma poco importa. Mi avevi mandato in gol. Io ricambiai, assecondandoti in uno dei tuoi soliti scherzi, qualche mese dopo. Volevi far credere agli abbonati che Benedetta fosse incinta e io accettai, invitandoli a scriverci via sms le loro felicitazioni alla nostra collega. Cabaret puro, quanto ci piaceva.
Poi senti quest’altro su Twitter: “Morto Claudio Lippi, ma non preoccupatevi: non è quello del Pranzo è servito“. Ti farebbe molto ridere. L’ultimo mio giorno in redazione, quando me ne andai, ti lasciai un post-it sul tavolo in cui scrissi: “Sto ancora aspettando di conoscere il Claudio Lippi vero, ma è stato un piacere diventare amico di quello finto“. Tuo zio era il mio idolo da bambino apprendista-presentatore. In te, ho rivisto quell’aspetto genuino ed educato tipico della vostra famiglia. Un sorriso mai banale o di circostanza, l’occhio vispo da eterno Peter Pan. Furbo, ma sognatore e sensibile. Ce l’ha anche tua figlia, sai? Quando la vedo, penso a te. Eterno bambino e padre così orgoglioso. Sai che c’è? Se farò mai un figlio maschio, lo presento a Sofia. Milena sarà d’accordo, vedrai, spero solo che il mio erede non perda i capelli presto come me. Le ho fatto una promessa: proverò a ricordarti alla tua maniera, facendo ridere. Anche se mai quanto te.
Inizio da domani, però, Claudio. Perdonami. Oggi non sono riuscito a frenare le lacrime. E’ stato grosso, sai, come scherzo. Dovevi prima avvisarmi. A Natale avevamo promesso di vederci presto, invece ci eravamo sentiti solo via sms o al telefono. Continuo a guardarlo, quello schermo, leggendo le nostre vecchie conversazioni su Whatsapp. Se vuoi chiamarmi, a qualsiasi ora, non servono spiegazioni, basta il solito “Luchino come va?“. Tengo acceso, amico mio.