Le ultime due gare disputate in casa contro il Bologna, avversario di domenica pomeriggio, hanno costituito veri e propri snodi della stagione. Si è trattato di sentenze, di incontri e risultati della verità. Se dopo le 16.50 del primo maggio 2011 ci eravamo trovati a un passo dalla gloria, cioè dal diciottesimo scudetto, il pareggio interno raccolto contro i felsinei durante la scorsa annata aveva caratterizzato la fine delle nostre ambizioni e l’avvio della corsa della Juventus verso un meritato tricolore.
Andiamo però con ordine. Sono le 15.00 di una bollente giornata di fine primavera, quando un Milan distante quattro punti dalla vittoria del campionato ma orfano di Zlatan Ibrahimovic si accinge a ospitare un Bologna reduce da quattro sconfitte di fila e coinvolto nella lotta per non retrocedere. Non si tratta di una partita facile: gli ospiti sanno come chiudersi, sono soliti metterla sull’intensità e sull’aggressività. Oltretutto, al Milan manca anche un Alexandre Pato ai tempi ancora in grado di fare la differenza e di leader del calibro di Rino Gattuso e Mark Van Bommel. Allegri è allora costretto ad affidare la fase offensiva a Cassano e Robinho, ispirati da Seedorf e Boateng. Gli interditori, incaricati di proteggere Thiago Silva, Nesta, Abate e Zambrotta, sono capitan Ambrosini e Flamini. Max non ha altre scelte.
Otto giorni prima, la vittoria era arrivata grazie a un contropiede regalato dal Brescia, i nostri non si trovano al top della condizione. Ma dopo soli 8 minuti, dopo essere stato servito da Robinho, Flamini si invola verso la porta difesa da Viviano. Parte dalla trequarti di centro-destra, vince una serie di contrasti, prima di trovarsi a tu per tu con il portiere avversario e segnare in due tempi il gol del vantaggio. E provocare, di conseguenza, l’esplosione della scala del calcio. Una ventina di minuti più tardi, Cassano trova sui suoi piedi l’occasione per chiudere i conti, ma si fa ipnotizzare dall’estremo difensore della compagine di Malesani. Ecco allora che, nella ripresa, il Bologna comincia a crescere e prendere coraggio. I nostri iniziano a calare. E Abbiati, invece di ripetere quanto messo in mostra al Rigamonti e garantire sicurezza, continua a cimentarsi in rinvii sgangherati e uscite da paura. E a dieci minuti dalla fine, mentre Portanova devia di testa una palla alta scarurita da un calcio d’angolo battuto dalla nostra destra, i tifosi rossoneri si preparano al peggio. Ma la sfera, quasi per miracolo, termina a pochi centimetri dal palo. Una manciata di minuti più tardi, De Marco fischia la fine. Dopo un calvario lungo 95′, il Milan batte il Bologna per 1-0 e mette più di una mano su quello scudetto che verrà poi vinto sei giorni più tardi, all’Olimpico di Roma.
Diverso, nella sostanza, è ciò che accade undici mesi più tardi. E’ il 22 aprile, si gioca di nuovo alle 15.00, nell’afa di Milano. L’arbitro, come un anno prima, è il signor De Marco. Ma a differenza della stagione passata, il Milan è costretto a inseguire la Juventus e a sperare nel miracolo di una Roma allo sbando. Allegri può contare su Ibra e Van Bommel che, però, deludono. L’olandese è la ricalcatura del gladiatore visto in passato e regala a Ramirez, per via di un retropassaggio privo di logica, la rete dell’uno a zero. Zlatan, una volta svanita la possibilità di vincere la Champions, non fa altro che indisporre e giocare senza determinazione. Sbaglia l’impossibile, sembra essere del tutto disinteressato alla situazione creatasi, gioca come se stesse disputando un’amichevole. E intanto, nonostante ci sia tutto il tempo per rimontare, la partita si addormenta e il Bologna si avvicina al successo. Ma attorno al 90′, all’improvviso, Zlatan si risveglia. E sugli sviluppi di un cross dalla sinistra, firma il pareggio. Nei cinque minuti di recupero, si assiste all’assedio rossonero. Ma allo scadere, il colpo di testa di un Robinho a tutti gli effetti nelle condizioni di trafiggere Agliardi, si perde sul fondo. Finisce 1-1 e la Juve può preparare la fuga per la vittoria.