Come una finale. Anche se, in realtà, ne vale un quarto. Juve-Milan non è mai una gara banale. Soprattutto se si gioca in gara secca (come una finale, appunto). Soprattutto se vale per una competizione che mai come quest’anno assume un significato in più per i rossoneri, realisticamente fuori dal discorso scudetto e duramente messi alla prova dal destino in Champions League, dove a febbraio se la vedranno con il Barcellona del quadri-Pallone d’Oro, Leo Messi.
Sarà la sesta volta in un anno e mezzo che Antonio Conte sfiderà Massimiliano Allegri. La terza in Coppa Italia, dopo le semifinali di andata e ritorno di un anno fa, decise proprio alla Juventus Stadium dopo i tempi supplementari. Insomma, anche la voglia di rivincita del Milan può pesare come elemento in più in una sfida carica di significati.
Fino allo scorso ottobre si pensava che questa Juve non potesse essere battuta, soprattutto tra le mura amiche del nuovo stadio (a proposito, c’è ancora da capire se l’1-2 del Milan nei 90 minuti regolamentari della semifinale di ritorno dello scorso anno valga come prima violazione del primato bianconero). Ci ha pensato l’Inter con un sonante 1-3 ed era possibile. Domenica scorsa ci ha pensato la Sampdoria di Delio Rossi con un 1-2 in dieci uomini per oltre metà gara. Segno che la squadra di Conte, pur essendo la più forte in Italia, non è imbattibile.
Al di là dei punti deboli emersi due giorni fa (Peluso non vale Chiellini, De Ceglie non è Asamoah, Giovinco a corrente alternata), il Milan può superare la prova sfoderando quella che l’anno scorso fu la migliore arma dei bianconeri: l‘umiltà. La stessa mostrata a San Siro nella vittoria contro la banda di Conte con Montolivo capitano. La stessa che la Juve sembra aver appannato da qualche tempo sotto i colpi di qualche dichiarazione un po’ spavalda del suo tecnico tornato davanti a taccuini e microfoni.
Il quarto di domani sera vale tanto. Per il morale. Per la gloria. Per inseguire un obiettivo, fosse anche l’ultimo vero della stagione.