Nessuno nasce imparato. Lo sa bene Massimiliano Allegri che nella sua ennesima settimana turbolenta, condita dagli omissis di Silvio Berlusconi circa il futuro della panchina del Milan, sabato scorso ha reso un’analisi lucida sulla crescita dei giovani. Uno su tutti: Stephan El Shaarawy. Senza riprendere parola per parola, Max ha svolto un semplice ragionamento: se il Faraone non avesse giocato un bel po’ di partite anche l’anno scorso, difficilmente avrebbe fatto tanto nell’attuale stagione.
Tradotto: per far esplodere i giovani serve crescerli, allevarli, annaffiarli. Un po’ come si fa con le piante: tutti apprezzano un arbusto imponente, ma pochi si ricordano come si è arrivato a quel risultato. Allegri ha ragione. El Shaarawy l’anno scorso ha mangiato “pane e Ibra”, ha macinato minuti con la maglia rossonera, ma con gambe meno pronte. Oggi si celebra la nascita di un campione, vero patrimonio del calcio italiano. La genesi è più o meno la stessa di tante altre stelle.
Ricordate Filippo Inzaghi capocannoniere dell’Atalanta nella stagione 1996/97? Superpippo arrivava da un’annata a Parma, dove aveva già collezionato22 presenze ufficiali per 4 reti. Ma anche Alessandro Del Piero, eterno mito bianconero. Arrivò alla Juventus nel 1993 ed esplose definitivamente nel 1995, dopo aver convinto Lippi a puntare su di lui e, soprattutto, dopo due stagioni di crescita all’ombra di Roberto Baggio. Lo stesso Antonio Cassano si conquistò la Roma prima sotto le frustate di Eugenio Fascetti a Bari, sempre in Serie A, poi con Francesco Totti come chioccia d’eccezione. Il merito di Allegri sta tutto qui: la fiducia crescente, dosata, unita alla pazienza. Lo farà anche con M’Baye Niang, che ha la cresta meno pronunciata del Faraone, ma forse solo nel taglio dei capelli.
Twitter: @PierDiRienzo