La sua carriera sembra, ormai da qualche anno, aver intrapreso una preoccupante parabola discendente. Da bimbo prodigio destinato a ripercorrere le orme del suo (ex) compagno di squadra Leo Messi, a giocatore normale prima, riserva poi in un Barça fenomenale pieno zeppo di campioni. Ed ecco che, dimenticato dal mai amato Pep Guardiola, per Bojan Krkic si aprono le porte dell’Italia. Voluto fortemente dal suo connazionale Luis Enrique, arriva alla Roma in prestito. Anche qui finisce spesso e volentieri in panchina e, dopo l’arrivo di Zeman che non lo vede di buon occhio, è costretto a cambiare di nuovo maglia, approdando al Milan.
La sua prima parte di stagione, fin qui, si può descrivere come la perfetta metafora della sua carriera (anche se parliamo sempre e comunque di un ragazzo classe ’90). All’inizio non gioca molto, fa molta panchina, ma dopo qualche partita si conquista una maglia da titolare. Intorno a fine a settembre sembra convincere Allegri che lo schiera da ‘falso nueve’ in avanti. Poi, torna a fare panchina ma, col ritorno al 4-2-3-1 si riconquista una maglia da titolare ed inizia a convincere con le sue prestazioni. Soprattutto nello scorcio di gara contro il Palermo e nei due match casalinghi contro Chievo e Malaga, lo spagnolo, schierato da trequartista centrale dietro la punta, offre delle ottime prestazioni e si fa notare soprattutto per la facilità con cui salta l’uomo e riesce ad imbeccare i compagni e per l’intesa che dimostra di avere con El Shaarawy.
Il rientro di gente come Boateng e Robinho gli sbarrano ancora una volta la strada per una maglia da titolare e il ventiduenne entra spesso a partita in corso. Allegri gli offre la possibilità di farsi notare nella gara di Champions contro lo Zenit e in quella di ieri contro la Reggina.Due gare molto simili per Bojan. Due gare in cui non è più sembrato lo stesso giocatore brillante di qualche settimana fa e ha mostrato una certa involuzione. Molto probabilmente, la consapevolezza di non essere più un titolare in questo Milan che sta iniziando a fare risultati importanti e positivi, gli toglie la giusta tranquillità e lucidità. Molto probabilmente vuol mettersi in mostra e cerca di strafare, non facendo mai la cosa più semplice e questo lo porta a sbagliare tanto e a non essere incisivo. Molto probabilmente non vuole perdere un’altra occasione per dimostrare che, il giocatore ammirato nei primi anni della carriera, c’è e non è svanito nel nulla.