La storia dell’amministratore delegato e vicepresidente vicario parla chiaro: poche, ma pesanti decisioni al suo attivo in oltre 26 anni di storia rossonero-berlusconiana, dalla ritirata nella buia notte di Marsiglia (che costò al Milan un anno di coppe europee) all’acquisto a sorpresa di Desailly, dalla virata su Alberto Zaccheroni a fine millennio a quella, più attuale, su Massimiliano Allegri.
Storie di viaggi, di andate e di ritorni, come nel caso di Ibrahimovic, ma anche di andate senza ritorni, come nel caso di Tevez. Era il 12 gennaio 2012 e nessuno avrebbe mai pensato che una data del genere sarebbe rimasta scolpita nella recente storia indiavolata come la causa di una serie di disgrazie sportive senza fine: il mancato arrivo di Carlitos causato dalla mancata partenza di Pato per amore presidenziale, il conseguente addio allo scudetto, l’altrettanta conseguente diaspora di senatori e non solo nel corso dell’estate più triste dai tempi del “Totonero”. E Galliani sempre lì, nel bene o nel male, a parare i colpi: felice come una Pasqua, con tanto di foto sui quotidiani, per l’aggancio a Tevez e al procuratore Kia Joorabchian, scorbutico con i giornalisti all’indomani della doppia vendita Thiago Silva-Ibrahimovic, ma anche triste perché lui stesso primo tifoso del Milan. Secondo, pardon.
Ecco perché l’abbraccio al triplice fischio finale di Anderlecht-Milan fra Adriano e il caro vecchio Max è un premio e una soddisfazione particolare soprattutto per Galliani, uno destinato (per lavoro e per necessità) a metterci sempre e comunque la faccia. Lui lo ha voluto, lui lo ha difeso, lui lo ha tenuto, lui ha fatto sempre di tutto per tenerlo (anche al cospetto del reticente patron) e lo ha coccolato. Il rapporto fra Adriano Galliani e Massimiliano Allegri è sempre stato idilliaco, c’è stata sempre fiducia e stima reciproca.
Ogni qualvolta il buon Max veniva messo in discussione, c’erano le parole di Adriano che non ne voleva sapere e che ribadiva che l’allenatore del Milan non era mai stato in discussione. E’ stato così dopo ogni sconfitta di questo tribolato inizio stagione: dopo Udine come dopo il derby, dopo il famoso caso dei “cinque mediani” di Palermo come dopo il disastro con la Fiorentina. Ora il primo obiettivo stagionale è stato raggiunto ed in panchina c’è ancora il guascone livornese. Una soddisfazione doppia per chi, con tutte le difficoltà del caso, spesso anche interne al proprio club, si conferma ancora una volta il miglior dirigente del calcio italiano.
Christian Pradelli per il Sussidiario.net
This post was last modified on 24 Novembre 2012 - 18:03