Ci siamo: primo snodo cruciale. Una “doppietta” che rende questa settimana la più delicata dall’inizio della stagione, con un campionato che vede Juventus e Napoli volare, l’Inter tenere (inspiegabilmente) e noi navigare senza lode e con qualche infamia tra le acque “adriatiche” del centro classifica. Stagione bizzarra, stagione tuttavia da preservare, perché da preservare è la passione che ci lega a questi colori, è la nostra consapevolezza (rara nel tifo italiano d’alto bordo) di non essere i più forti, ma nemmeno vicini ai più forti. Da preservare è, soprattutto, quell’ometto col 92 sulle spalle, che tanto (se non tutto) ci sta regalando in queste giornate e che molto, senza dubbio, potrà regalarci in futuro se non lo si carica eccessivamente. E nella muscolatura (ogni riferimento è puramente casuale) e nelle responsabilità.
Anche perché siamo stati troppo abituati ad avere a che fare, soprattutto nell’ultimo periodo della nostra storia, con giocatori in grado di risolvere le partite da soli. E Stephan El Shaarawy non è uno di questi. O almeno non lo è ancora. Quindi piano con le etichette, risparmiamo per ora le incensazioni nei confronti di un “prodotto” tutto italiano ma che, non scordiamolo, non più tardi di quattro mesi fa veniva definito tra le righe un “montato” da Gennaro Gattuso, uno che ha vissuto e masticato Milan per ogni giorno della sua vita negli ultimi 12-13 anni. Resta comunque un’ottima annata questa del 1992, come ha ricordato ai microfoni di Radio Lombardia all’interno di “Falla Girare”, trasmissione che conduco ogni domenica assieme a Piermaurizio Di Rienzo, il buon Pierluigi Casiraghi. Considerazione netta, che coinvolge anche Mattia De Sciglio, un altro in bilico (suo malgrado) tra raffronti con Mauro Tassotti (se gioca sulla destra) e Paolo Maldini (se va a sinistra). Non oso immaginare il giorno in cui, chissà, in questo Milan dalle posizioni sempre “precarie”, lo vedremo mezz’ala o ala: Angelo Benedicto Sormani e Dino Sani, nel caso, sono avvisati.
E intanto già si scalda il clima derby, con la Champions che, per una volta, sembra davvero andare in secondo piano. Troppa la voglia di primeggiare a livello cittadino, soprattutto quando capisci che è l’unico livello al quale puoi, ad oggi, realmente ambire. E allora occhi chiusi, immaginando uno stadio pieno come ai “bei tempi”, con due coreografie insuperabili, con gli inevitabili fischi a Cassano, con Allegri che saluta in livornese e si sente rispondere in romano, con Galliani pronto ad alzarsi per sbraitare e con gli ottantamila (sob…) chiamati a dare il loro intenso contributo: perché tifare è un piacere, certo, ma a volte è anche un dovere. Dovere verso un sentimento troppo bello e forte per fermarsi alle prime (seconde, terze…) difficoltà. Dovere verso chi ha scritto, in diverse ere calcistiche, la storia di questo sport. Dovere che va oltre i presidenti, gli allenatori, i giocatori, raggiungendo dritto al cuore quel sogno che continuerà ad esserci per sempre. E che per sempre continuerà a chiamarsi Milan.
Twitter: @Chrisbad87
This post was last modified on 1 Ottobre 2012 - 02:27