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Adesso basta mettere in discussione Allegri! Se abbiamo deciso di continuare con lui nel momento peggiore dell’anno, dopo aver perso in casa contro Sampdoria e Atalanta, dopo aver pareggiato malamente contro il modesto Anderlecht e dopo aver assistito alla lite in famiglia con Inzaghi. Se lo abbiamo confermato nonostante l’assenza di gioco e di risultati, se abbiamo capito che la squadra è tutta dalla sua parte, allora adesso non possiamo fargli tremare la panchina ad ogni sconfitta. Non ha senso. E soprattutto non è da Milan. Queste cose eravamo abituati a vederle nella storia passata e recente dell’altra squadra di Milano.
In quel pomeriggio di settembre, quando Galliani, dopo essersi consultato con Berlusconi, invece di esonerare il tecnico, decide di celebrare la “pace” tra Allegri e Inzaghi nella sala delle Coppe di via Turati, l’allenatore ne esce legittimato, consolidato alla guida della squadra. Che ricomincia ad allenarsi come non faceva da tempo. Che lo segue. Che fa gruppo. Che è unita. Cosa che purtroppo non era successa la scorsa primavera, quando abbiamo perso per strada lo scudetto. Iniziano ad arrivare i primi piccoli risultati e i primi piccoli progressi nel gioco: Udine, Cagliari, Parma sono segnali di una timida evoluzione. La vittoria di San Pietroburgo, seppur con un pizzico di fortuna, ridà anche entusiasmo e rilancia il Milan in Champions League.
Veniamo allora al derby, decisamente la miglior partita di questo avvio di stagione dal punto di vista del gioco. Un dominio di 90 minuti, nonostante tutti i nostri limiti, nonostante l’Inter sia quest’anno più forte. Lo perdiamo non per colpe nostre ma dell’arbitro. Non sono solito attaccarmi ai singoli episodi, ma raramente ricordo una partita intera con così tanti errori tutti nella stessa direzione. Non ci vedo nessun disegno e nessun complotto, solo l’inadeguatezza di Valeri che sbaglia tutto, a partire dal secondo minuto, quando non ammonisce Samuel scatenando la reazione di Allegri. Da lì in poi una sequela di nefandezze, tutte a nostro danno: il gol annullato ingiustamente a Montolivo, il mancato secondo “giallo” a Juan Jesus, con tanto di fischio finale a 12 secondi dallo scadere del 45esimo minuto, e infine il netto rigore su Robinho. I giocatori escono dal campo certi di non essere stati battuti dall’Inter ma defraudati dalla “Valeriana”, la squadra di arbitri che comprendeva anche il solito Rizzoli, già quarto uomo la serataccia di “Muntari”. E da qui nasce il parapiglia nel tunnel degli spogliatoi, certo criticabile, ma in qualche modo giustificabile. Tutti i quotidiani l’indomani hanno dato 4 a Valeri. Il Milan, per il gioco espresso, al di là degli evidenti limiti realizzativi, avrebbe meritato almeno di pareggiare. Almeno.
E allora, proprio dopo questa considerazione, che senso ha prendersela nuovamente con Allegri. Che senso ha farlo adesso, che la squadra sta trovando se non un gioco, per lo meno un’identià. Adesso che qualche risultato è arrivato. Lasciamolo lavorare e lasciamo la squadra tranquilla. Anche quando capiterà di perdere altre partite. Altrimenti ci “interistizziamo” davvero troppo.
Questo non significa ignorare gli errori. Anzi cerchiamo di correggerli e su questo Allegri ci sta lavorando. In attacco non c’è più Ibra e allora i gol dobbiamo cercarli attraverso il gioco. Non è facile. Più immediato e impellente è cercare di prenderne qualcuno in meno. Soprattutto su quelle maledette “palle inattive”. Anche qui non c’è più Ibra che respinge tutti i corner e tutti i cross e allora aggiungiamo gente alta e nerboruta. Da qui nasce l’idea di proporre e provare una difesa con 3 centrali in campo contemporaneamente. Ci sarebbe anche l’”avallo” eccezionale di Galliani, che ai tempi di Zac aveva annunciato il dogma della “linea a 4”. Potrebbe essere un’idea, anche per mandare più spesso al cross gli esterni, che siano Antonini, De Sciglio, Abate o Emanuelson. Ci si sta lavorando, ma anche per questo ci vuole pazienza. Dobbiamo averla, tanto si è capito che quest’anno certo non lotteremo per lo scudetto.
Con certi giocatori invece la pazienza sta per scadere. E’ il caso di Boateng, che per la verità mi è sembrato leggermente più “collaborativo” col gioco di squadra nelle ultime due uscite. Ma ancora non basta. E’ il caso di Robinho che a giudicare dal girovita di “cassaniana” memoria ha già in testa il Santos di gennaio. E speriamo che l’addio di Binho ci riporti finalmente a casa Kakà. E’ il caso di Pato, l’unico che può davvero risolverci i problemi in attacco. Ma che deve farlo appena rientra. Non possiamo più aspettarlo.
Con queste prospettive e con un El Shaarawy nel futuro ci accingiamo a entrare nel vivo di questa che sarà sicuramente la classica stagione di “transizione”. Ma è proprio nelle annate così che si pongono le basi per i cicli vincenti. Lavorando e facendo crescere i giovani. A proposito c’è in giro un fenomeno a costruire squadroni partendo dai giovani e dai vivai. Uno in grado di costruire gli squadroni partendo dal gioco. L’unico che ridarebbe al presidente l’entusiasmo del primo Sacchi. Si chiama Pep Guardiola. E c’è chi dice che stia già cercando casa a Milano. Non è un sogno, ma ci assomiglia. E chissà che tra 4-5 anni il suo nuovo Messi non si chiami Hachim Mastour… forse sto sognando troppo. Anzi mi fermo qui. Altrimenti mi ci metto anch’io a far traballare quella panchina. Che invece merita di restare solida fino a fine anno. Solo così si potrà preparare il terreno per tornare a “pensare in grande”. Da Milan.