La trasferta di San Pietroburgo ha tutta l’aria di essere una gara decisiva per la corsa alla qualificazione ai quarti della Champions League. E come i vecchi tempi, ha sorpreso tutti il Milan visto contro lo Zenit. I rossoneri visti in questo inizio di campionato non sembravano affatto una squadra capace di poter espugnare un campo difficile come quello della squadra di Spalletti, seppure in crisi di risultati e di gioco. Ed invece i rossoneri, entrati in campo con il piglio e la voglia giusta, nei primi 20 minuti del primo tempo sono riusciti a mettere in ghiaccio il risultato sfruttando quello che passa il convento.
Spalletti vede la squadra in difficoltà e cambia modulo ridisegnandola con un 4-4-2. Il cambio di modulo risolleva i russi che prendono campo e fiducia. Il Milan cala e lo Zenit sale. Abbiati sale in cattedra e compie tre-quattro grandi parate, due su Hulk da vero numero uno. Le parate di Abbiati tengono il Milan sul doppio vantaggio, mentre dall’altra parte è Boateng con un tiro da fuori a impensierire l’incerto Malafeev che si salva goffamente. Il Mian soffre ma tiene solo fino al 46’ quando Hulk si inserisce tra Abate e Zapata e batte Abbiati dalla sinistra. Primo tempo che si chiude 1-2 per i rossoneri.
Il vecchio Milan, anche puntando su giocatori di qualità superiore, avrebbe sicuramente messo a segno altre due reti prima della fine dei primi 45 minuti. Invece, non fosse stato per un Abbiati a dir poco strepitoso (su di lui però pesa la responsabilità del momentaneo pareggio dei russi), ci è mancato poco che si andasse negli spogliatoi con il risultato di parità. Manca la personalità, manca la tranquillità a questa squadra. Mancano soprattutto i giocatori di qualità: Montolivo è troppo ‘molle’ per essere il perno del centrocampo rossonero, De Jong ha fatto il suo, ma non è certo un centrocampista in grado di poter imbastire la manovra. In avanti Boateng, non avendo più la possibilità di inserirsi come una volta (non c’è nessuno in grado di servirlo), diventa un giocatore prevedibile. L’ingresso di Pazzini nel secondo tempo e l’aver condannato El Shaarawy, un grandissimo Faraone in tutte le fasi del campo, sull’esterno hanno trasformato la squadra in una provinciale alla ricerca dell’impresa. Un qualcosa che il Milan, squadra blasonata, non dovrebbe permettersi.
La difesa soffre ancora terribilmente. Troppi affanni sulle palle inattive, troppe incertezze di singoli che non riescono a dimostrarsi all’altezza. Zapata è troppo molle, Antonini dimostra i soliti indiscutibili limiti in tutte e due le fasi. In progresso Abate, che fa ben sperare, molto bene invece Bonera che potrebbe essere definitivamente il leader di un reparto che stenta a trovare i suoi giusti equilibri. Il cambio in corsa di modulo: dal 4-2-3-1 al 4-3-3 per coprirsi un po’ di più, è stato provvidenziale per soffrire di meno, ma togliere tutto una volta Bojan ed Emanuelson per dar spazio a Pazzini e Nocerino, significa inevitabilmente lasciare il fianco al possesso palla e alla supremazia degli avversari.
Alla fine, con un po’ di fortuna e tanti patemi d’animo, è arrivata una vittoria che vale oro. Una vittoria pesante sul campo e nella gara più difficile del girone. Una vittoria che delinea in maniera netta e ben definita i giochi di potere in questo girone. Malaga padrone a sei, Milan a 4, Anderlecht a 1, ma soprattutto Zenit a 0. Ora serve gestire il vantaggio in fatto di punti e non avere cali di concentrazione, ma si deve migliorare ancora in tanti settori e sotto tanti punti di vista. Poi pensi che alla vigilia del derby più delicato degli ultimi venti anni, tutto quello che è successo ieri pomeriggio è manna dal cielo e che dagli errori si può solo imparare ma soprattutto che, una vittoria così, potrebbe essere la svolta di una stagione fin qui complicata e fa maledettamente morale, tanto morale.