Offre tanti spunti interessanti Bojan Krkic, intervistato da Fabiana Della Valle per Gazzetta. Dal rapporto con il gol a quello con suo “cugino” (e non è solo un modo di dire) Leo Messi, dal suo pensiero su Ibrahimovic a quello che (non) è riuscito a fare a Roma. Ecco i passi più interessanti.
Bojan, il 22 al Milan è un numero pesante, per 6 stagioni è stato sulle spalle di Kakà che qui ha vinto una Champions League, un Mondiale per club, due Supercoppe Uefa, uno scudetto e una Supercoppa italiana.
“Lo so, ma non è il primo numero pesante che indosso. A Barcellona avevo il 9, che prima era stato di Ibrahimovic, Ronaldo e Cruijff. In ogni caso io non sono uno di quelli che si lega ai numeri: ho scelto il 22 perché sono arrivato al Milan il giorno del mio ventiduesimo compleanno“.
A proposito di Ibrahimovic, i vostri destini si sono incrociati spesso: a Barcellona fu lei a soffiargli il posto e quest’estate è arrivato al Milan dopo l’addio di Zlatan. Le pesa doverlo sostituire?
“Io non sono qui per sostituirlo, in attacco siamo in tanti. Ibrahimovic è un grande ma io e lui siamo molto diversi: lui è due metri, io sono 160 centimetri. Abbiamo qualità diverse“.
Ma è vero che Zlatan ha un carattere così difficile da gestire?
“Io ho avuto la fortuna di conoscerlo e posso dire che, oltre a essere un grande, ha un cuore enorme. Lo stimo molto e credo che a Barcellona meritasse di essere trattato diversamente per quello che ha fatto“.
Si è mai pentito di aver lasciato il Barcellona?
“Mai. Fino a qualche anno fa non avrei mai pensato di andare a giocare in una squadra diversa dal Barça, non riuscivo neanche a immaginarmi con un altro club. Sono arrivato che avevo appena 9 anni, ho fatto tutta la trafila con le giovanili, sono stato blaugrana per 12 anni e pensavo che sarei rimasto per sempre. Poi mi è capitata l’opportunità di trasferirmi in Italia e ringrazio Dio per avermela concessa. Roma mi ha aperto un altro mondo, ho conosciuto una realtà completamente diversa, sia dal punto di vista calcistico sia dal punto di vista umano. E questo non può che essere un aspetto molto positivo per la mia crescita professionale“.
Però a Roma il tentativo di Luis Enrique di importare il modello Barça è stato un fallimento. Come mai secondo lei?
“Non so se Luis ha fallito, io non credo che abbia sbagliato lui. L’errore è stato continuare a paragonare la Roma al Barcellona e pretendere di imitare il gioco del Barça. Luis veniva da quel club ma non era possibile giocare allo stesso modo, la Roma doveva trovare la sua strada. Con Luis tutti si lamentavano ed erano arrabbiati perché i risultati non arrivavano, poi è stato preso Zeman che fa il suo stesso gioco, però intorno alla squadra c’è un altro clima. Anzi, Zeman è addirittura più offensivo e più “spagnolo” di Luis e la sua filosofia non ha niente a che vedere con quella del calcio italiano“.
Qual è stato il miglior allenatore che ha avuto finora?
“Rijkaard, perché mi ha lanciato e poi perché mi ha sempre fatto sentire la fiducia. E’ stato un anno non facile eppure lui non si è mai fatto condizionare. Ha una grande personalità e sotto il profilo umano il rapporto che ho avuto con lui non l’ho avuto con nessun altro“.
Avere accanto un papà ex calciatore è stato un vantaggio o uno svantaggio per lei?
“Un grande vantaggio. Mi ha fatto crescere in questo mondo e mi ha indicato sempre la strada giusta, ma non è mai stata una presenza ingombrante per me“.
Invece con suo cugino Messi che rapporto ha? L’ha sentito ultimamente?
(sorride) “In realtà noi non sapevamo nemmeno di essere parenti. Abbiamo un rapporto normale, ma non mi ha mai chiamato da quando sono qui“.
Meglio la Champions con il Milan, la convocazione in nazionale o il ritorno al Barcellona?
“Se vinco la Champions con il Milan di sicuro la chiamata in nazionale verrà di conseguenza. Il Barcellona è il passato, io sono qui per vincere con la mia nuova maglia numero 22“.