A volte non si riesce proprio a godere di qualche soddisfazione. E’ successo al compianto Carlo Petrini, ex calciatore e scrittore molto attento ai malanni del pallone. Petrini, scomparso appena due mesi fa, il 16 aprile scorso, nel suo ultimo libro, dal titolo “Lucianone da Monticiano”, aveva dedicato alcuni pensieri all’acerrimo nemico Luciano Moggi: “A differenza del mio compaesano Lucianone, io non sono il tipo che infierisce sulla gente in difficoltà, e oggi il signor Moggi è in disgrazia: radiato dal calcio, e con una raffica di condanne sul gobbo, sia pur non ancora definitive. Però l’assurdità della querela che mi ha mandato, il potere che ancora mantiene a livello mediatico, la faccia di bronzo che continua a esibire in giro, e la capacità dell’opinione pubblica di dimenticare, mi hanno convinto della necessità di dedicargli in queste pagine”. E ancora: “Voglio che fra trenta e quarant’anni la generazione dei miei nipoti possa […] leggere le gesta – quelle vere e senza censura, cioè quelle delinquenziali accertate dai carabinieri a proposito della sua associazione a delinquere – del mio celebre compaesano”.
Qualche giorno fa il Tribunale di Milano ha dato ragione a Petrini. Troppo tardi, purtroppo.Big Luciano se la prese più volte con lui. In particolare, mise nel mirino il libro “Calcio nei coglioni”, dove l’ex calciatore scriveva: “Ci sono voluti i carabinieri per fermare il boss Luciano Moggi”, “il potere delinquenziale dell’amico Lucianone”, “la banda Moggi”. Dunque la querela non entrava solo nel merito delle accuse e dei contenuti, ma era anche per i termini usati. Frasi che per i giudici milanesi non sono diffamatorie, ma desumibili dal rapporto steso dai Carabinieri durante l’indagine Off-Side del 2005 e riportato dai giornali.
Purtroppo Petrini non riceverà alcun soldo, ma la sentenza gli avrebbe certamente dato una soddisfazione immensa.