Tu, come il vecchio Totocalcio: dieci anni a fare… 13!

Quello sguardo spaesato, quella maglia indossata con tanto, tanto rispetto, la folla sotto quel balcone ad osannare un vero grande acquisto in difesa come forse non era mai successo in precedenza. Perché la grande retroguardia ce l’eravamo sempre trovata in casa: da Baresi a Maldini, giusto per citare trent’anni di storia rossonera. Poi è arrivato lui, Alessandro Nesta, il romano forte ma visto con un po’ di diffidenza perché in fondo a San Siro poteva ripetere le gesta in terra biancazzurra, ma anche no. E infatti i primi tempi, dopo quella presentazione con Hernan Crespo in quel derby di settembre di dieci anni fa, non furono propriamente esaltanti: era il post Mondiale in Corea, il post Byron Moreno.

Poi, d’improvviso, ingranano tutti: torna ad ingranare Paolo Maldini e la stagione diventa incredibilmente esaltante, grazie ad un calcio bellissimo nei primi mesi di quella stagione, 2002/2003, arricchita da un finale da apoteosi, con la Coppa Italia e la Champions League battendo (sì, battendo) Inter e Juventus. Alessandro, Sandro pardòn, diventa totem, diventa unicum, diventa la spalla ideale del capitano numero 3. Diventa il difensore più forte del mondo. Poi, sì, gli infortuni che, certo, non gli hanno mai dato tregua, ma non gli hanno nemmeno impedito di vincere l’invincibile, sia a livello di club sia con il grande Mondiale in Germania.

Il totem che diventa il migliore, il migliore che diventa saggio: saggio con un ragazzo che viene dal Brasile, che fa fatica a prendere le misure del campionato italiano, ma che ha le features per diventare il migliore al mondo dopo di lui. E così fu Paolo Maldini, così è stato Alessandro Nesta, così è (e sarà) Thiago Silva. Alessandro Nesta ha rappresentato per dieci-anni-dieci la sicurezza, il punto fermo, ma anche la classe, la disciplina, la forza, il cuore oltre l’ostacolo. E, non più tardi di qualche mese fa, il “ferma Messi”. A 36 anni.

Sandro ha avuto la fortuna di essere protagonista di uno dei cicli più vincenti nella storia rossonera; un ciclo che, se è stato tale, è stato anche grazie a lui. E’ l’addio, forse, più amaro di quelli che si prospetteranno in questa calda estate perché la sensazione era che, nonostante tutto, potesse ancora (eccome) dire la sua. “Il calcio italiano, ormai, ha ritmi troppo alti“, ha detto. Sandro, la verità è che la classe, la tua classe sovrasta ogni ritmo, ogni accelerazione, ogni uno-due. Sei e sarai per sempre nella storia del Milan: ti ricorderemo come quel romano che non ha avuto paura né di Franco, né di Paolo e si è fatto un boccone del Diavolo. Tu, come il vecchio Totocalcio: dieci anni a fare… 13!

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