Piermario, l’ultimo dei destini beffardi

Nessuna. Non c’è nessuna parola giusta, utile, vagamente consolatoria per esprimere tutto ciò che proviamo in queste ore di dolore, in morte di Piermario Morosini, 25 anni, bergamasco, calciatore professionista, ragazzo buono e coraggioso che voleva prendere a calci il destino. Aveva perso il padre, la madre, il fratello; giocava anche per il sorriso di sua sorella, afflitta da una grave malattia. Non c’è un suo compagno o ex compagno, un dirigente, un allenatore, chiunque l’abbia conosciuto che non  ricordi l’entusiasmo e il sorriso, la maturità e la serietà di questo giovane uomo cresciuto per dieci anni in quella formidabile scuola di vita che risponde al nome di vivaio dell’Atalanta.

Fino all’approdo nell’Under 21, l’esordio in Serie A nel 2005 con l’Udinese di Serse Cosmi, subentrato nel secondo tempo in un Udinese-Inter. Piermario aveva realizzato il suo sogno, scrivendo una bella pagina di calcio, ma soprattutto di vita, dimostrando a tutti che, anche nei momenti più tristi, nei momenti in cui pensi di non farcela, c’è sempre un motivo per sorridere e rialzarsi, per continuare a credere nei sogni. Poi quel minuto 30 della sciagurata partita del suo Livorno contro il suo Pescara. Si accascia al suolo, tenta di riprendersi, ma non c’è più niente da fare, ormai qualcuno aveva deciso che per “Moro” a ventisei anni era giunto il momento di realizzare un altro sogno: riabbracciare i suoi cari, continuare a sorridere con loro.

Dopo il miracolo che è riuscito a tenere in vita Fabrice Muamba, centrocampista congolese del Bolton, che si è salvato miracolosamente dopo tre giorni di coma, la tragedia di ieri, purtroppo, è stata solo l’ultima (e speriamo che sia veramente tale) di una lunga serie di ragazzi deceduti mentre facevano quello che meglio li riusciva, quello che amavano. Giuliano Taccola, attaccante della Roma, si spense a Cagliari nel tragico pomeriggio del 16 marzo 1969.  Nel 1977 un’altra tragedia: Renato Curi perse la vita durante un Perugia-Juventus. Il giocatore degli umbri si accasciò improvvisamente a terra dopo uno scatto, e i soccorsi si rivelarono inutili.

Poi, purtroppo, si arriva ai giorni nostri, all’ultimo decennio che ha visto aumentare questi terribili eventi. Ad iniziare da  Marc Vivien Foè, centrocampista camerunense morto in campo il 26 giugno del 2003 durante la semifinale di Confederations Cup contro la Colombia. Il giocatore fu portato via in barella a 15 minuti dalla fine della gara: 45 minuti di rianimazione non bastarono per tenerlo in vita. Nell’ottobre del 2004 fu il turno di Paulo Sergio Oliveira da Silva ‘Serginho’, colpito da un attacco cardiaco durante una partita contro il San Paolo.

Infine, la doppia tragedia che ha sconvolto il calcio spagnolo. Nell’estate del 2007 Antonio Puerta, giocatore del Siviglia, fu vittima di ripetuti arresti cardiocircolatori durante la partita di Liga del 25 agosto contro il Getafe: il difensore morì 3 giorni dopo, all’età di 22 anni. I tifosi del Milan ricorderanno che qualche giorno dopo si giocò la finale di Supercoppa Europea, proprio contro gli andalusi e tutti i ventidue in campo omaggiarono il povero Puerta con il suo nome scritto dietro ogni maglia. Daniel Jarque, invece, non visse gli ultimi istanti della sua vita in campo. Il difensore spagnolo dell’Espanyol, infatti, l’8 agosto del 2009 all’età di ventisei anni,  viene trovato morto nel ritiro della sua squadra a Coverciano. Il catalano fu colto da un’asistolia mentre era al telefono con la sua fidanzata.

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