E i nostri, giocando come sapevano fare, avrebbero potuto farcela. Peccato che qualcosa non funzionasse. Ancelotti aveva schierato una squadra a trazione anteriore: Gattuso unico incontrista, Pirlo, Kakà e Seedorf alle spalle di Shevchenko e Inzaghi. Carletto non aveva pensato che, per ribaltare le sorti del discorso qualificazione, ci fossero novanta minuti. Avrebbe voluto segnare subito. Ma così non è stato.
Non che il Milan non creasse occasioni. Un’accelerazione di Kakà, dopo due minuti, aveva intimidito Valdes: palla a lato. Inzaghi, lanciato a rete da Pirlo, aveva fallito un aggancio elementare. Shevchenko, imbeccato da Seedorf, aveva peccato di egoismo. Ma più i rossoneri attaccavano, più gli undici di Rijkaard avevano spazio per colpire in contropiede. Era questo il copione.
Il Milan cercava di fare la partita e si sbilanciava. Il Barcellona poteva allora sfruttare i varchi a disposizione. Se non ci fosse stato Dida, quella sera, avremmo subito una sconfitta umiliante. L’ammiraglio Nelson aveva compiuto tre miracoli. Il Barça, una volta recuperata la sfera, ripartiva con facilità. L’incontro, in ogni caso, rimaneva aperto. Merito, ripetiamolo, della saracinesca brasiliana. Ancora vivi grazie a lui.
E, al 68′, la svolta. Un pallone aereo stava circolando nell’area blaugrana. Sheva ci credeva. Prendeva il tempo a Pujol, lo anticipava e colpiva di testa. Valdes, fuori posizione, era pietrificato: gol. La palla era terminata in rete. Ma l’arbitro Merk aveva fermato il gioco. Incredibile. Il fischietto proveniente dalla Germania aveva visto una spinta di Shevchenko sul capitano del Barça. Un miraggio. Una chimera, un’utopia, una fantasia. Il gol era regolare. Milan penalizzato in un momento delicato.
Dopodiché, il nulla. I rossoneri non avevano più idee. Il Barcellona riusciva a gestire la situazione. E si guadagnava il pass per la finale. Onore al merito. Ma se il gol del re dell’Est fosse stato convalidato, la partita sarebbe cambiata. Garantito.
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