Passare da una qualificazione già in tasca all’incubo dell’Emiretes. Gran parte delle certezze acquisite che barcollano fino all’ultimo secondo, i ricordi amari di La Coruña e Istanbul, come fantasmi, tornano a riempire la mente, il cronometro con la velocità di un bradipo, la panchina corta, l’Ibra formato Champions che non piace, il Robinho abulico e il piccolo Faraone con le spalle ancora troppo strette per battere l’emozione del debutto. E ancora la fascia da brividi con Mesbah ed Emanuelson, Nocerino sprecone, Thiago Silva impreciso, e chi più ne ha più ne metta.
Di contro un Arsenal arrembante con nulla da perdere e tanto da offrire: corsa, coraggio e quello slogan “impossible is nothing” che sembra sostenere ad uno, ad uno i ragazzi di Wenger. Con loro una marea di gufi, tipico “prodotto” made in Italy, che spera nel crollo definitivo degli uomini di Allegri, nella resa, per l’ennesima volta, agli ottavi. Interisti e juventini a sfregarsi le mani con le varie prese in giro di rito già pronte.
Poi al minuto 93 l’arbitro mette il fischietto alla bocca e tutte la paure si sgretolano, lasciando spazio alla gioia di essere tornati, dopo una lunga assenza, nella top 8. Un fischio liberatorio che serve a ricordare di come, questa volta, i rossoneri siano riusciti a non precipitare nel baratro degli errori, rimanendo, pur a fatica, a galla. La partita di ieri non sarà da annoverare tra le prestazioni memorabili, avrà fatto arrabbiare il Presidente, passare brutti momenti a Galliani e Allegri ma dimostra che in questi anni il Milan è cresciuto. “La paura se ne va, la qualificazione resta” ricorda, tirando un sospiro di sollievo, l’amministratore delegato rossonero nel dopo match. In fin dei conti, ammettiamolo, svegliarsi da un incubo non è mai stato così bello: i quarti ora sono una realtà.