Tutte variabili da tenere in considerazione, seppur opinabili. Quello che invece non può suscitare pareri contrari, tentennamenti di sorta, è la prestazione di Massimo Ambrosini. Un paio di appoggi sbagliati, piccolo gap da scontare su ogni campo causa troppa generosità. Tutt’al più briciole, se paragonate a 95 minuti di sostanza, cuore, battaglia, duttilità, lucidità. Al posto giusto nel momento giusto, in chiusura, ripartendo, raddoppiando e lottando. Un Ambro che lavora sporco, lavora duro sempre, da sempre. Da vero capitano, trascinatore gagliardo e silenzioso quando la sfera rotola, autoritario quanto basta quando serve farsi sentire con l’arbitro e gli avversari. Chi mercoledì sera allo stadio, sulla poltrona di casa, al bar con gli amici, anche solo per un attimo non si è sentito in naturale dovere di alzarsi, applaudire quel 34enne mentre sistemava la fascetta, dopo aver guadagnato un fallo in una fase delicata, in una posizione difficile, dopo aver riconquistato il suo centesimo pallone? Unanime, spontaneo, potente e salvifico: ‘Grande Ambro!’.
Dopo 16 anni di Milan, a dare l’esempio sputando sangue per la maglia con cui ha vinto tutto, imponendo la sua legge anche nei confronti di chi troppo spesso e troppo in fretta l’aveva creduto sul viale del tramonto. Tutti come Arsenio Lupin, domani al ‘Massimino’. Tutti come il capitano, tra 4 giorni al ‘Camp Nou’. Sembrerà una frase fatta, ma col suo impegno e col suo orgoglio rossonero sfoderato da ogni pezzo del puzzle milanista, la soleggiata costa catalana diverrebbe senz’altro un approdo meno burrascoso.
This post was last modified on 30 Marzo 2012 - 18:34