Robinho è contento del suo rapporto con il numero 11, dal presente si passa al passato ossia alla sua infanzia nelle favelas brasiliane: “Sono nato a São Vicente, nello Stato di San Paolo. La casa in cui abitavo era più piccola della stanza dove ci troviamo adesso: per fortuna ero figlio unico. Mio padre era un operaio addetto alla rete fognaria, mia mamma faceva la donna delle pulizie. Sulla tavola, riso e uova. Ogni giorno, a pranzo e a cena. Sempre che si riuscisse a mettere insieme l’uno e le altre. Ho cominciato a nutrirmi meglio solo quando sono entrato nel Santos, a 12 anni. Vivevo per strada, giocando a pallone dovunque. Ho desiderato tanto una bicicletta e non l’ho mai avuta: “Scegli”, mi diceva papà. “O i soldi per mangiare, o la bici”. E quanto avrei voluto un giochino elettronico! Ma sono stato un bimbo felice. Avevo i miei amici, mi sentivo libero. Anche perché nelle strade del mio Paese c’era meno violenza rispetto a oggi: tanti ragazzi con cui sono cresciuto hanno oggi problemi di droga, altri stanno in galera“.
Un bravo ragazzo insomma, divertente e divertito dalla sua vita milanese: “Milano ha tutto. Ci fosse il mare, sarebbe la città della mia vita. Abito in zona San Siro, la mattina porto a scuola Robson Junior (4 anni, il maggiore dei suoi due figli; l’altro, Gianluca, ha 10 mesi, ndr), poi, se non c’è allenamento, vado a prendere mia moglie in palestra. Ma non posso dire di conoscere bene Milano: a Vivian, per esempio, piace girare per negozi, ma io mi annoio. Preferisco andare alla scoperta dei ristoranti“. Tra Cassano e lui si morirà dal ridere in spogliatoio ma si scopre che i due mattatori sono altri: “Zambrotta e Yepes. Sono due vecchietti, ma insieme fanno un casino incredibile nello spogliatoio“.
This post was last modified on 26 Marzo 2012 - 15:58