Pensi a Filippo Inzaghi e pensi come sia possibile per un giocatore di calcio diventare idolo incontrastato di due super potenze, pur in epoche differenti. C’è chi dice che il migliore Inzaghi lo abbiano visto a Torino, il più giovane, il più fresco, il più prolifico, il meno infortunato. Ma, con buona pace degli juventini, i dieci-anni-dieci a Milanello sono talmente intrisi di amore, di vittorie, di gol indimenticabili che, di fronte alla storia del calcio, i quattro anni in Piemonte non posso che essere considerati solo una piccola parte della storia di SuperPippo.
“Non è Inzaghi ad essere innamorato del gol, ma il gol ad essere innamorato di Inzaghi“, Parole, quelle di un guru come Arrigo Sacchi, che spiegano meglio di molte altre perifrasi la grandezza di un atleta, che atleta è nel vero senso della parola: diligenza allo stato puro, cosa che molti suoi colleghi più giovani si scordano. Sempre pronto ad entrare o a subentrare, sempre indiavolato, sempre decisivo nelle partite decisive. Dalla Champions League 2003 dove, con i suoi 12 gol, contribuì in maniera determinante alla conquista del sesto alloro europeo rossonero, alla Champions 2011, con una doppietta da fantascienza (da subentrato) contro il Real Mourinho.
Inzaghi è uno di quei giocatori, forse l’unico ad aver vissuto in due tra i gruppi calcistici più vincenti della storia senza per questo dover essere odiato, ad esempio, dagli interisti, che invece ne hanno sempre invidiato le qualità, la costanza e soprattutto quella capacità di essere sempre nel posto giusto al momento giusto. Stasera potrebbe essere il suo ultimo Derby d’Italia, visto come gli capita troppo negli ultimi tempi dalla panchina. E dalla panchina solo perché i vari Ibrahimovic e Maxi Lopez sono out.
Chissà se Allegri deciderà, indipendentemente dal risultato, di buttarlo nella mischia “come ai bei tempi”. Che bello sarebbe vedere ancora agguerriti Inzaghi e Del Piero, la potente coppia bianconera di fine anni Novanta. Che bello sarebbe, ma purtroppo il calcio va (quasi) sempre oltre queste logiche. E allora non ci resta che ringraziare il nostro numero nove per tutto quello che ci ha regalato, per le emozioni al limite dell’infarto che è riuscito a regalare a tutti i tifosi in vent’anni di calcio. Consapevoli che un campione d’umiltà e professionalità del genere difficilmente tornerà.